La prova documentale è disciplinata dagli artt. 234-243. Si tiene distinta l’area dei «documenti» in senso stretto (formati fuori dall’ambito processuale, nel quale devono essere introdotti affinché possano acquistare rilevanza probatoria) da quella degli «atti» (formati all’interno del procedimento, e rappresentativi di quanto vi sia accaduto, come sono tipicamente i verbali), e soltanto ai primi si è riferita la nuova disciplina, sulla base della definizione accolta nell’art. 234 comma 1°: dove, accanto ai tradizionali «scritti», e con innegabile intento estensivo, viene consentita la acquisizione come documento di ogni altra cosa idonea a rappresentare «fatti, persone o cose» attraverso «la fotografia, la cinematografia, la fotografia e qualsiasi altro mezzo».
Viene invece ammessa la acquisizione dei documenti necessari al giudizio sulla personalità dell’imputato e, se del caso, della persona offesa dal reato, ricomprendendovi anche quelli esistenti presso gli uffici pubblici di servizio sociale e presso gli uffici di sorveglianza (art. 236 comma 1°). Per i certificati del casellario giudiziale e per le sentenze divenute irrevocabili – nonché per le sentenze straniere riconosciute – si prevede, inoltre, che possano venire acquisiti, con evidente riferimento alla tematica dell’esame diretto, anche al fine di valutare la credibilità dei testimoni (art. 236 comma 2°).
I documenti costituenti corpo del reato «devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga» (art. 235), anche d’ufficio. Una normativa particolare è inoltre dettata, secondo tradizione, per i documenti provenienti dall’imputato, nel senso che di essi è sempre consentita l’acquisizione «anche di ufficio», sebbene si tratti di documenti sequestrati presso altri o da altri prodotti (art. 237).
Riguardo alla verifica della provenienza è previsto che il documento venga sottoposto per il riconoscimento alle parti private ed ai testimoni (art. 239) mentre relativamente ai documenti anonimi rectius, contenenti «dichiarazioni anonime» – viene confermata la classica regola di esclusione, prescrivendosi che essi «non possono essere acquisiti, né in alcun modo utilizzati», a meno che «costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall’imputato» (art. 240).
Quanto alla ipotesi di falsità dei documenti, a parte l’eventualità in cui la stessa venga accertata e dichiarata con la sentenza di condanna o di proscioglimento (art. 537), stabilisce l’art. 241 che il giudice – ove ritenga falso uno dei documenti acquisiti – dopo la definizione del procedimento, debba informarne il pubblico ministero, trasmettendogliene copia in vista degli adempimenti di sua competenza. È palese come, per questa via, si sia in sostanza riconosciuto al giudice penale il potere di accertare incidenter tantum l’eventuale falsità dei documenti.
Adottandosi una impostazione coerente con gli ordinari limiti posti all’impiego probatorio delle risultanze degli atti compiuti nelle fasi preliminari al dibattimento, l’acquisizione dei verbali di prove di altri procedimenti penali è ammessa senza ulteriori condizioni, secondo i normali criteri di legge (così come, in genere, l’acquisizione dei verbali di prove assunte in un processo civile definito con sentenza passata in giudicato), solo quando si tratti di prove assunte nell’incidente probatorio (10) o nel dibattimento (art. 238 commi 1° e 2°), mentre la stessa regola non vale per i verbali di cui sia stata data lettura in sede dibattimentale.
È stato opportunamente precisato, tuttavia, che nel caso di acquisizione dei verbali di prove previste dal 1° e dal 2° comma, ove si tratti di verbali recanti dichiarazioni, essi sono utilizzabili – in omaggio al principio del contraddittorio – soltanto contro gli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla loro assunzione,ovvero nei cui confronti fa stato la sentenza civile (art. 238 comma 2-bis). È sempre ammessa, inoltre, l’acquisizione della documentazione di atti compiuti nel corso di altri procedimenti penali, ivi comprese le fasi preliminari, i quali anche per cause sopravvenute «non sono ripetibili» (art. 238 comma 3°).
È stato inoltre di recente precisato, sulla base di una previsione analoga a quella risultante dall’art. 512 (ma difficilmente riconducibile alla medesima ratio, trattandosi nel nostro caso di atti compiuti in «altri» procedimenti), che, nell’ipotesi di impossibilità di ripetizione dovuta a «fatti o circostanze sopravvenuti», l’acquisizione della relativa documentazione deve ritenersi consentita soltanto quando questi ultimi fatti o circostanze risultino «imprevedibili».
Restano ferme, per altro verso, le limitazioni previste in ordine agli «atti non ripetibili compiuti dalla polizia straniera» (art. 78 comma 2° disp. att.), mentre è fatta salva, ovviamente, l’eventuale diversa disciplina risultante da specifiche disposizioni: qual è, ad esempio, l’art. 270 con riguardo all’utilizzabilità «in altri procedimenti» dei risultati delle intercettazioni telefoniche (infra § 15).
Al di fuori delle ipotesi fin qui descritte, invece, l’acquisizione e la successiva utilizzazione dibattimentale dei verbali di altri procedimenti con-tenenti dichiarazioni (si pensi, soprattutto, alle dichiarazioni rese da testimoni, o da imputati in separati procedimenti connessi, nell’ambito delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare) è ammessa soltanto nei confronti dell’imputato che vi consenta. In assenza di tale consenso, i predetti verbali potranno essere utilizzati esclusivamente ai fini delle contestazioni in sede di esame dibattimentale, nei limiti e per gli effetti previsti dagli artt. 500 e 503 (art. 238 comma 4°).
Rimane fermo il diritto delle parti di ottenere, ai sensi dell’art. 190, l’esame delle persone che tali dichiarazioni abbiano rese. Va ricordato, ancora, che per effetto dell’art. 238-bis – e fermo restando quanto previsto dall’art. 236 – è sempre consentita l’acquisizione delle sentenze divenute irrevocabili, ai fini della prova dei fatti in esse accertati.