Il pm, pur essendo parte del processo, costituisce al tempo stesso, un organo dell’apparato statale incaricato di vegliare all’osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, nonché di iniziare ed esercitare l’azione penale.

Il pm è affrancato sia dal potere esecutivo, ma gode di una posizione di indipendenza rispetto a tutti gli altri poteri costituzionali.

Peso assorbente riveste il canone dell’obbligatorietà dell’azione penale. Il pm risponde del proprio operato solo davanti alla legge, godendo delle stesse garanzie attribuite al giudice circa il reclutamento, l’inamovibilità dalla sede e la soggezione al potere di controllo del Consiglio superiore della magistrature.

L’art. 50 comma 1 conferisce al pm la titolarità dell’azione penale, ed è l’unico soggetto a poterla esercitare, infatti non trova spazio nel nostro sistema né l’azione penale privata, né l’azione penale popolare.

Sempre l’art. 50 prevede l’obbligatorietà dell’azione penale: il doveroso esercizio della azione penale trova come suo unico limite la richiesta di archiviazione.

L’art.   50   comma   2   ribadisce   il   principio   dell’officialità   della   azione   penale, circoscrivendo l’efficacia delle condizioni di procedibilità alle figure ivi richiamate.

Non trova posto nel codice il principio della pubblicità dell’azione penale, perché la sua

enunciazione è parsa superflua.

Il comma 3 enuncia poi l’irretrattabilità della azione penale: una volta esercitata comporta un dovere decisorio in capo al giudice, equivale a dire che l’oggetto del processo penale è indisponibile.

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