Ex art. 307 cpp, nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini il giudice dispone le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti, solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare .

Per rafforzare il perseguimento degli obiettivi propri delle misure cautelari, qualora si proceda per uno dei reati indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), il giudice dispone le misure cautelari indicate dagli articoli 281, 282 e 283 anche cumulativamente.

L’aver espressamente previsto la facoltà del giudice di disporre il cumulo delle misure nella sola ipotesi in cui la persona liberata a seguito di decorrenza dei termini di custodia cautelare abbia subito la misura in relazione ai reati indicati, farebbe escludere la possibilità del cumulo in tutte le altre ipotesi.

La custodia cautelare precedentemente applicata (e non una diversa o più grave), può essere tuttavia ripristinata con decorrenza ex novo dei termini:

a) se l’imputato ha dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare;

b) contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, quando ricorre l’esigenza cautelare prevista dall’articolo 274 comma 1 lettera b).

 

I  termini di durata massima delle misure cautelari non custodiali

Nel definire in chiave di sintesi la disciplina dei termini di durata massima delle misure diverse dalla custodia cautelare, l’art. 308 opera una distinzione di fondo a seconda che si tratti di misure coercitive ovvero interdittive. Per le ultime ci si limita a prevedere la predeterminazione di termini di cessazione della loro efficacia, mentre per le prime si richiede una articolazione di termini per ciascuna fase processuale corrispondente a quella prefigurata per la custodia carceraria, con la cessazione automatica delle stesse in rapporto alle correlative scadenze, prescrivendosi altresì la previsione di un meccanismo di ragguaglio dei termini medesimi ai termini sanciti per la misura custodiale.

L’art. 308 comma 1 stabilisce infatti la perdita di efficacia delle misure coercitive diverse dalla custodia cautelare a seguito del decorso di un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall’art. 303 in rapporto alla custodia. Al contrario, per le misure interdittive, il comma 2 dell’art. 308 fissa in via generale il termine di due mesi, scaduto il quale si prevede che le medesime perdano efficacia, con l’unica eccezione rappresentata dalla possibilità di rinnovazione delle misure disposte per esigenze probatorie entro i limiti definiti dal comma 1 dello stesso art. 308 per le misure coercitive diverse dalla custodia.

A parte quest’ultima eccezione, si tratta probabilmente di un termine troppo rigido, nella sua brevità, per quelle misure interdittive che di per sé sarebbero destinate a protrarsi nel tempo in ragione di concrete esigenze di prevenzione speciale.

II  comma 3 dell’art. 308 enuncia il principio secondo cui la sopravvenuta estinzione delle misure in discorso non può recare pregiudizio all’esercizio dei poteri attribuiti ex lege al giudice penale o ad altre autorità in materia di pene accessorie, ovvero di misure interdittive di diversa natura.

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