Nel nostro sistema, l’alternativa all’esercizio dell’azione penale è la richiesta di archiviazione, sulla quale deciderà, solitamente de plano, il giudice per le indagini preliminari.
L’istituto della archiviazione adempie a tre funzioni:
- permette al pubblico ministero di selezionare i procedimenti al fine di non appesantire la fase della udienza preliminare;
- attua il controllo sul corretto esercizio dell’azione da parte del pubblico ministero;
- riconosce alla persona offesa il diritto di chiedere che sia rilevata l’inerzia del pubblico ministero.
L’archiviazione è pronunciata dal giudice per le indagini preliminari in presenza di:
- presupposti di fatto: si tratta dell’ipotesi in cui il pubblico ministero ha ritenuto la notizia di reato infondata. In tal caso il giudice, effettuata una prognosi sull’esito eventuale del dibattimento, giunge alla conclusione per cui si arriverebbe ad una sentenza di assoluzione.
Esiste una regola probatoria (art. 125 disp. att.) secondo la quale il pubblico ministero presenta al giudice richiesta di archiviazione quando ritiene l’infondatezza della notizia di reato, perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Sebbene prima facie questa regola possa apparire piuttosto vaga, la Corte costituzionale ha sostenuto di poterla riempire di significato attraverso il principio di completezza delle indagini preliminari: in capo al pubblico ministero, infatti, grava l’obbligo di prendere l’alternativa decisione circa l’opportunità dell’esercizio dell’azione o della richiesta di archiviazione solo al termine di indagini preliminari tendenzialmente complete. Solo se interpretata in questo senso la norma impone una valutazione approfondita della superfluità del reato;
- presupposti di diritto: il giudice pronuncia l’archiviazione anche quando (art. 411):
- manca una condizione di procedibilità;
- il reato è estinto;
- il fatto non è previsto dalla legge come reato.
La l. n. 46 del 2006 ha introdotto una particolare ipotesi di richiesta di archiviazione coatta, in base alla quale il pubblico ministero sarebbe obbligato ad optare per tale scelta qualora la Corte di cassazione si fosse pronunciata in ordine all’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza in seno ad un ricorso dell’indagato o del suo difensore contro la disposizione di una misura di sicurezza e non fossero stati acquisiti elementi di prova ulteriori. La Corte costituzionale, tuttavia, nel 2009 ha emesso una declaratoria di incostituzionalità, in quanto ha ritenuto che tale disposizione contrastasse con:
- il principio di uguaglianza: la regola di giudizio su cui si basa l’esercizio dell’azione penale è differente da quella su cui si basa la richiesta delle misure cautelari;
- il principio di obbligatorietà dell’azione penale: il pubblico ministero sarebbe costretto a fare richiesta di archiviazione anche in circostanze in cui poteva comunque apparire idoneo l’esercizio dell’azione penale.