L’oggetto sostanziale del singolo processo (nella pratica definito “causa”) è evidenziato dall’azione che è in esso esercitata: quindi quella certa azione, proposta da Tizio verso Caio in quel certo giorno per far valere quel certo dir. Questa operazione logico-giuridica di individuazione dell’oggetto di un singolo determinato processo o di una singola determinata causa prende il nome di “identificazione dell’azione” (nel senso di individuare i connotati di una singola azione). Il motivo per il quale si compie questa identificazione dell’azione, è perché essa è necessaria per applicare la regola del ne bis in idem: essa sta alla base del rilievo della cosa giudicata. Mediante questa regola, si verifica se un’azione coincide o meno con quella su cui è sceso il giudicato: in pratica identificare 2 azioni per stabilire se in realtà stiamo davanti a una sola azione ovvero una è diversa dall’altra. Se invece la seconda azione viene proposta quando il processo introdotto dall’esercizio della prima azione non è ancora determinato, ma ancora pendente, in questo caso la regola serve a verificare se l’azione coincide o meno con quella oggetto di altro processo che pende (se coincide, il giudice deve dare atto della litispendenza, quindi il giudice non può pronunciarsi). L’identificazione dell’azione serve poi infine per il rispetto della regola del doppio grado di giurisdizione: infatti la legge vieta la proposizione di domande nuove, sia nel giudizio di 1° che di 2°, rispetto a quelle proposte in 1°: per stabilire se una domanda è “nuova”, si dovrà ricorrere all’identificazione delle azioni.

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