Il processo consiste in una serie di atti posti in essere dalle parti e dal giudice. Con il termine provvedimenti si intende la species del genus atti giuridici emanati dal giudice. Alcuni provvedimenti sono destinati ad avere un’efficacia che va oltre al processo in corso, mentre altri sono destinati a disciplinare solo lo svolgimento del procedimento ed hanno un’efficacia strumentale. Il nostro codice, in particolare, dispone che:

  • i provvedimenti con contenuto strumentale rispetto alla statuizione finale abbiano la forma dell’ordinanza. L’art. 176 prevede che salvo che la legge disponga altrimenti, tutti i provvedimenti del giudice istruttore hanno la forma dell’ordinanza . L’art. 279 co. 4, delineando il regime di efficacia e stabilità dei provvedimenti aventi forma di ordinanza, stabilisce che essi non possono mai pregiudicare la decisione della causa e […] salvo che la legge disponga altrimenti (es. ordinanze dichiarate inimpugnabili ex lege, ordinanze per cui la legge prevede uno speciale mezzo di reclamo), sono modificabili e revocabili dallo stesso giudice che li ha emanati e non sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze;
  • i provvedimenti con contenuto finale con cui il giudice decide sull’esistenza o inesistenza del diritto fatto valere in giudizio dall’attore abbiano la forma della sentenza. L’art. 279 è la disposizione base per individuare i casi in cui deve essere pronunciata sentenza. Il co. 2, solo per citare un esempio, prevede cinque ipotesi tipiche in cui il collegio pronuncia sentenza, cosa questa da cui si ricava che la sentenza è forma eccezionale rispetto all’ordinanza che invece rappresenta la forma generale dei provvedimenti del giudice. La sentenza, diametralmente opposta dispetto all’ordinanza, è per definizione irrevocabile da parte del giudice che l’ha emanata. Essa, all’interno di quel grado di giudizio, ha un’efficacia preclusiva strettamente collegata al regime dei rimedi esperibili contro le sentenze (appello, ricorso per cassazione, revocazione, regolamento di competenza, opposizione di terzo).

Gli artt. 187, 188 e 189 attengono ai poteri del giudice istruttore per far passare il processo in fase decisoria. Ad essi corrisponde l’art. 279 co. 2 per quanto concerne i poteri del collegio:

  • l’art. 188 stabilisce che il giudice istruttore, esaurita l’istruzione, rimette al collegio la decisione (completamento fase istruttoria). Strettamente speculare è l’ipotesi prevista dall’art. 187 co. 1, secondo cui il giudice istruttore rimette la causa al collegio quando la ritiene matura per la decisione senza assunzione di mezzi di prova. In entrambe queste ipotesi il collegio pronuncerà sentenza ai sensi dell’art. 279 co. 2 n. 3, ossia definirà il giudizio decidendo totalmente il merito della causa;
  • l’art. 187 co. 2 e 3 fa riferimento ad altre due ipotesi di rimessione della causa in fase decisoria: il co. 2 prevede tale possibilità qualora nel corso del processo insorga una questione preliminare di merito avente astratta idoneità a definire il giudizio e questa sia deliberata dall’istruttore nel senso della sua concreta idoneità nel caso di specie, mentre il co. 3 prevede la stessa disciplina rispetto a questioni di giurisdizione, competenza o altre pregiudiziali di rito astrattamente idonee a definire il giudizio. In questi casi:
    • qualora il giudice in fase decisoria concordi con la deliberazione dell’istruttore, chiuderà il processo con sentenza definitiva di rigetto della domanda dell’attore (art. 279 co. 2 nn. 1 e 2);
    • qualora il giudice non concordi con la deliberazione dell’istruttore, si avrà una sentenza qualificata come non definitiva, ossia inidonea a definire il giudice il quale dovrà tornare in fase istruttoria per essere proseguito (art. 279 co. 2 n. 4).
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