Ci si chiede se il convenuto, a sostegno della sua domanda di rigetto, possa affermare (e chiedere di provare) altri fatti. Fin’ora si è parlato solo di fatti giuridici definiti come “fatti costititutivi” di diritti. Ad esempio il fatto della conclusione di contratto di locazione è fatto costitutivo del diritto del conduttore alla consegna di quella certa cosa locata, nei confronti del locatore. Se però il contratto di locazione si fosse, in ipotesi, risolto consensualmente prima della consegna, il diritto del conduttore alla consegna sarebbe estinto: quindi la risoluzione opererebbe come “fatto estitintivo” (altro fatto giuridico). Se invece l’efficacia di un contratto fosse stata sottoposta a condizione sospensiva, la stipulazione di quella condizione e il suo mancato avveramento, avrebbe portato l’impossibilità di far valere il diritto come diritto attuale: un “fatto impeditivo” (altro fatto giuridico). infine, rispetto a un diritto di credito ad una somma di denaro, si può pensare ad un pagamento parziale: “fatto modificativo” (altro fatto giuridico). Può allora il convenuto affermare e offrire di provare questi ultimi 3 fatti? Questa possibilità risulta indirettamente dal 2697 C.C.: esso pone l’onere della prova a carico di chi allega i fatti, contrapponendo, sotto questo profilo, l’allegazione dei fatti che costituiscono il fondamento della domanda, all’allegazione dei sfatti che hanno reso inefficaci tali fatti o hanno estinto/modificato il diritto. La norma usa per questa allegazione il termine “eccepire” da cui “eccezione” (bisogna costituirsi come convenuto dall’inizio del processo per poterla fare). Questo termine però in ambito processuale ha diverse eccezioni: chiamiamo la richiesta di una decisione negativa su una domanda altrui sul fondamento dei 3 ultimi fatti “eccezioni di merito” o “sostanziali” (contrapposte alle “eccezioni processuali”). Se consistono in semplici negazioni di fatti costitutivi, non sono eccezioni propriamente tali (cosiddette ”eccezioni in senso improprio”). Mediante le eccezioni in senso proprio si allarga l’ambito dell’oggetto del processo, ma non quello della domanda: questo perché con l’eccezione si vuol si solo determinare il rigetto di quella sola domanda, ma attraverso un allargamento che concerne i fatti i cui il giudice può e deve conoscere. Quindi c’è un limite per l’attore: egli non può evitare il conseguente allargamento dell’ambito del giudizio sui fatti, anche se solo in funzione della domanda. Nel C.P.C., il dovere del giudice di tener conto delle eccezioni è indirettamente configurato dal 112 che dice che “il giudice non può pronunciare d’ufficio sulle eccezioni che possono esser proposte solo dalle parti” (implicitamente quindi egli “può e deve” pronunciare sulle eccezioni in genere). Ci si deve però chiedere, in virtù della limitazione dell’esclusiva dell’attore sull’oggetto del processo causata dall’eccezione, se a questa limitazione dell’esclusiva dell’attore corrisponde un’esclusiva del convenuto: i fatti in discorso possono esser allegati solo a lui? Ora il 112 afferma implicitamente che esistono 2 categorie di eccezioni di merito: quelle su cui il giudice può pronunciarsi d’ufficio e quelle che posson esser proposte solo dalle parti (cosiddette “eccezioni in senso proprio o stretto”. Per queste esiste l’esclusiva). Ci si chiede quale sia il fondamento di questa distinzione. In alcuni casi è la legge stessa a stabilire espressamente che l’eccezione è proponibile solo dalle parti: es. “eccezione di prescrizione” (2398 C.C.) e “eccezione di compensazione” (1242 C.C.). Quando però la legge non offre elementi sicuri, diventa determinate il rilievo per i cui i 3 fatti producono il loro effetto “automaticamente” (in questo caso il giudice può e deve tenerne conto d’ufficio: ad esempio la risoluzione consensuale del contratto). Ci saranno però allora dei fatti di cui il giudice non può tener conto d’ufficio: essi sono quei 3 fatti che producono conseguenze non automaticamente, ma a seguito dell’esercizio di un contraddittorio che la parte che resiste potrebbe far valere (o meno) con un’azione autonoma (esempio: diritto di annullamento dei contratti per dolo). Il giudice non potrà conoscere questi fatti senza un’espressa eccezione. Definiamo allora l’eccezione in senso stretto come il diritto di chi resiste alla domanda, ad ottenere che il provvedimento sul merito della domanda stessa tenga conto anche dei 3 fatti la cui allegazione è affidata alla sua disponibilità. L’eccezione è allora un diritto alla pronuncia sul merito dei 3 fatti che appartengono alla disponibilità del convenuto. Bisogna infine notare che l’efficacia dei 3 fatti oggetto di eccezione può rimanere a sua volta estinta, modificata, impedita da altri fatti la cui allegazione configura la c. d. ”contro eccezione” (esempio: l’interruzione della prescrizione).

Partecipazione attiva del convenuto oltre i limiti della domanda. La domanda riconvenzionale

Il convenuto, d’altra parte, può andare oltre il limite della richiesta di rigetto della domanda dell’attore, proponendo una sua domanda (c. d. ”domanda riconvenzionale”) che allarga l’oggetto del processo anche con riguardo alla domanda. Essa è una propria autonoma azione del convenuto, esercitata da questi vs l’attore nello stesso processo in cui è convenuto. Ad esempio Caio convenuto da Tizio per il pagamento di 100 in forza di contratto di mutuo, riconviene Tizio per far valere il suo diritto al rilascio d’un immobile che Tizio gli aveva venduto. Ciò è possibile solo quando tra questa domanda e quella dell’attore sussista un collegamento che ne renda opportuna la trattazione congiunta, ossia quando (ex 36 C.P.C.), la domanda del convenuto dipenda dallo stesso titolo su cui si fonda la domanda dell’attore o su cui si fonda l’eccezione dello stesso convenuto (titolo nel senso di “ragione della domanda” che trova fondamento nei fatti costitutivi).

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