L’art. 36 c.p.c. afferma che “il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali proposte dal convenuto”.

La domanda riconvenzionale è la domanda proposta dal convenuto nei confronti dell’attore, con cui questi fa valere delle situazioni sostanziali che potrebbe far valere in un autonomo processo. Pertanto il convenuto, con riferimento a queste situazioni sostanziali, ha tre possibilità:

– Potrebbe farle valere in un autonomo processo;

– Potrebbe farle valere in via di eccezione nel processo in cui è convenuto;

– Potrebbe proporre domanda riconvenzionale.

L’art. 36 c.p.c. prevede due tipi di connessione della domanda riconvenzionale con la causa principale (non è una connessione tra le domande):

– La domanda riconvenzionale dipende dal titolo già dedotto in giudizio dall’attore. In questo caso sia la domanda principale che la domanda riconvenzionale hanno la stessa causa petendi.

Esempio dei contratti sinallagmatici: Tizio stipula un contratto di compravendita con Caio. Tizio, venditore, chiede la condanna di Caio al pagamento del prezzo. Caio, compratore, propone la domanda riconvenzionale chiedendo la condanna di Tizio alla consegna della cosa.

– La domanda riconvenzionale dipende dal titolo dedotto in giudizio dal convenuto come mezzo di eccezione (è fondata sullo stesso titolo su cui si fonda un’eccezione proposta dallo stesso convenuto). Il convenuto propone una situazione sostanziale in via di eccezione, quindi una situazione sostanziale che ha una sua causa petendi, e su quello stesso fatto costitutivo deve fondarsi anche la domanda riconvenzionale.

Esempio: Tizio stipula un contratto di compravendita e chiede il pagamento del prezzo, Caio eccepisce l’annullabilità del contratto per vizio del volere e propone la domanda riconvenzionale di annullamento del contratto di compravendita.

Non è vero che la domanda riconvenzionale sia necessariamente incompatibile con la domanda principale:

– La domanda riconvenzionale non è incompatibile con la domanda principale quando si fonda sullo stesso titolo da cui dipende quest’ultima (es. contratto a prestazioni corrispettive in cui sorgono diritti contrapposti);

– La domanda riconvenzionale è incompatibile con la domanda principale quando si fonda sullo stesso titolo su cui si fonda anche l’eccezione proposta dal medesimo convenuto (es. controcredito opposto in via di eccezione e domanda riconvenzionale con cui si chiede il pagamento del controcredito).

Bisogna stabilire se la connessione sia o meno un presupposto necessario per proporre la domanda riconvenzionale:

– Vi è chi ritiene che lo sia poiché l’art. 4 d.lgs. 5/’03 sul rito societario (ora abrogato con la L. 69/’09) ammetteva solo le domande riconvenzionali che fossero connesse in questo modo. Però questo riguardava solo il rito societario;

– L’opinione maggioritaria ritiene che la domanda riconvenzionale possa prescindere dall’esistenza di questa connessione. Quella connessione era richiesta solo per l’applicazione di quelle modifiche alla competenza per ragioni di connessione che sono state ora abrogate (l’art. 36 c.p.c. prevedeva che il giudice competente per la domanda principale fosse competente anche a conoscere le domande riconvenzionali qualora vi fosse stata questa connessione, purché queste non fossero di competenza per materia o per valore del giudice superiore. In quest’ultimo caso si prevedeva l’applicabilità degli art. 34 e 35 c.p.c.).

Il fatto che il rapporto di connessione non sia necessario lo si deduce dall’art. 104 c.p.c. che prevede che “l’attore possa proporre, nei confronti del contenuto, più domande anche non altrimenti connesse” (anche se le cause tra loro non hanno in comune né la causa petendi né l’oggetto mediato), purché sia osservata la competenze per valore del giudice adito (la domanda riconvenzionale deve rientrare nella competenza per valore del giudice adito).

Una differenza fra l’eccezione e la domanda riconvenzionale sta nel fatto che con l’eccezione non si amplia la materia del contendere (nemmeno se si fanno valere diritti sostanziali), con la domanda riconvenzionale si.

Eccezione riconvenzionale è un’espressione fuorviante perché può far pensare ad un’eccezione che produce gli effetti della domanda riconvenzionale. Sono delle vere eccezioni con cui si fanno valere quelle situazioni sostanziali che potrebbero essere fatte valere in via di azione, precisamente con quelle azioni che vengono definite impugnative negoziali (sono quelle situazioni sostanziali quali l’annullabilità, la rescindibilità e la risolubilità di un contratto). A volte vengono chiamate eccezioni riconvenzionali perché potrebbero fondare autonome domande che vengono chiamate impugnative negoziali:

– Azione di risoluzione del contratto;

– Azione di rescissione del contratto;

– Azione di annullamento del contratto.

Quando si fa riferimento alle situazioni che sono alla base di queste azioni di impugnativa negoziali allora si usa chiamarle eccezioni riconvenzionali (Consolo le chiama eccezioni costitutive caducatorie).

C’è chi contesta la possibilità di eccepire la rescindibilità, l’annullabilità o la risolubilità di un contratto. Tradizionalmente però si ammette che possano essere fatte valere anche in via di eccezione.

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