La giurisdizione italiana

Il sistema nel codice del 1942. Nel codice del 1942 il criterio determinante era rappresentato dalla cittadinanza del convenuto. Secondo tale criterio il cittadino italiano poteva in ogni caso essere convenuto avanti i giudici italiani, indipendentemente da qualsiasi nesso di collegamento (oggettivo e soggettivo) della lite con il territorio italiano. Per contro, lo straniero non era, in linea di principio, soggetto alla giurisdizione italiana a meno che fossero ricorrenti situazioni o relative al soggetto straniero, ovvero alla natura della controversia tali da palesare un “collegamento” della vicenda litigiosa con l’ordinamento italiano. Tali elementi, idonei a consentire l’esercizio della giurisdizione italiana anche nei riguardi del convenuto straniero, vengono denominati “criteri” o “momenti di collegamento” e, a seconda del loro riferirsi al soggetto od alla controversia, si distinguono in subiettivi ed obiettivi.

La l. 218/1995. Tale sistema è stato profondamente innovato dall’entrata in vigore della l. 218/1995 (Legge di riforma del diritto internazionale privato).

La nuova legge ha infatti abbandonato, almeno in linea di principio, il criterio generale della cittadinanza del convenuto, ed è incentrata sulla residenza o domicilio del convenuto, valutati come elementi esteriori di immediatezza del rapporto del convenuto con l’ordinamento italiano. La giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana sussiste dunque, indipendentemente dalla cittadinanza del convenuto, se e quante volte costui abbia in Italia la residenza o il domicilio; e per contro, sempre in via generale, la giurisdizione del giudice italiano (in base al predetto criterio generale) può anche non sussistere nei riguardi di un cittadino italiano se egli non abbia in Italia né residenza né domicilio.

La giurisdizione italiana è pure sussistente allorché il convenuto, privo di residenza o domicilio nello Stato, vi abbia però un rappresentante autorizzato a stare in giudizio a norma del 77 c.p.c.

Le nozioni di residenza e domicilio son da valutare alla stregua della legge italiana, quale lex fori.

L’abbandono del criterio generale della cittadinanza del convenuto e, per contro, l’adozione dei predetti criteri, trovano corrispondenza in quanto previsto già da molti anni dalla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, oggi sostituita dal Regolamento CE 44/2001 “Bruxelles I”. Secondo la predetta Convenzione, ed oggi secondo il Regolamento “Bruxelles I”, unico criterio generale di collegamento è quello del domicilio, e nessun rilievo spetta alla cittadinanza.

Accanto alla residenza e al domicilio del convenuto, la menzionata l. 218/1995 eleva a criteri aggiuntivi, idonei a determinare la giurisdizione italiana, anche quelli stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del Titolo II della predetta Convenzione di Bruxelles (le “competenze speciali”, così denominate dalla Convenzione). Per esempio in “materia contrattuale” sussiste la giurisdizione italiana se, indipendentemente da residenza o domicilio del convenuto, in Italia è stata o deve essere eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio.

Le predette “competenze speciali” operano solo quando il convenuto sia domiciliato “nel territorio di uno Stato contraente”. La norma del 3, comma II della l. 218/1995 ne estende l’àmbito “anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente”, purché l’oggetto della controversia rientri nelle materie regolate dalla Convenzione.

L’ultima parte del 3, comma II della l. 218/1995 per le materie estranee all’àmbito di applicazione della Convenzione di Bruxelles sembra elevare a regole determinative della competenza giurisdizionale le norme di competenza territoriale “interna”, talché la giurisdizione italiana può dirsi sussistente in tutte le ipotesi in cui l’applicazione degli articoli 18 ss. c.p.c. (Foro generale delle persone fisiche) condurrebbe ad individuare come competente un giudice italiano. In tal senso è orientata la giurisprudenza della Cassazione, che ha affermato la competenza giurisdizionale del giudice del luogo di residenza dell’attore (18, comma II c.p.c.) nei confronti di convenuto straniero non avente né residenza né domicilio in Italia, in materia non rientrante nell’àmbito della Convenzione di Bruxelles (Cass. S.U. 10954/1996; Cass. S.U. 12506/1998).

L’abbandono del criterio fondato sulla cittadinanza non è peraltro, nella previsione della stessa l. 218/1995, assoluto, giacché in numerosi casi la giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana, al di là della residenza o del domicilio in Italia del convenuto, seguita ad essere prevista anche e proprio in relazione alla cittadinanza italiana di uno dei soggetti del processo. Così ad es. in tema di nullità, annullamento, separazione personale e scioglimento del matrimonio sussiste la giurisdizione italiana se uno dei coniugi è cittadino italiano (lo stesso quante volte il matrimonio sia stato celebrato in Italia: 32 l. 218/1995).

Il principio della perpetuatio jurisdictionis. L’esistenza dei criteri di collegamento va determinata con riguardo al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza i mutamenti né della legge né dello stato di fatto che farebbero venir meno la giurisdizione, se si verificano posteriormente a quel momento (5 c.p.c. [Momento determinante della giurisdizione e della competenza], principio della perpetuatio jurisdictionis). Viceversa, per motivi di economia dei giudizi, il giudice italiano è dotato di giurisdizione se i fatti o le norme che la giustificano, pur inesistenti al momento della proposizione della domanda, sopravvengono nel corso del processo: tale regola è stata elevata a norma positiva dall’8 l. 218/1995.

Inderogabilità della giurisdizione italiana

La disciplina del codice del 1942. La legge di “riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato” ha abrogato il 2 c.p.c. (Inderogabilità convenzionale della giurisdizione), che proclamava l’inderogabilità per accordo fra le parti (c.d. inderogabilità convenzionale) della giurisdizione italiana a favore di una giurisdizione straniera (o di arbitri che pronuncino all’estero).

La nuova più liberale disciplina. Per contro, il 4 dell’indicata legge regola l’“accettazione e deroga alla giurisdizione” stabilendo:

a. pur quando faccia difetto la giurisdizione in base ai criteri fissati dal 3, essa tuttavia sussiste se le parti l’abbiano convenzionalmente accettata e l’accettazione sia provata per iscritto, ovvero il convenuto “compaia nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo”: come dire che l’accettazione, espressa e corredata dalla forma richiesta, od anche “tacita” (per mancata tempestiva eccezione da parte di chi vi avrebbe interesse), va riguardata come criterio di per sé idoneo a fondare la giurisdizione del giudice italiano:

  1. la giurisdizione italiana (esistente) può formare oggetto di deroga convenzionale, a favore d’un giudice straniero o di arbitrato estero, purché la deroga sia provata per iscritto e la causa verta su diritti disponibili; con il limite dell’inefficacia della deroga se il giudice o gli arbitri indicati declinano la giurisdizione o non possono conoscere della causa.

Si è affermato che la deroga, pur convenzionalmente pattuita, non avrebbe effetto quando in base alla normativa interna sia prevista una competenza territoriale inderogabile (ad es., in materia di lavoro), o anche quando il diritto controverso sia regolato da norme di c.d. applicazione necessaria.

Il caso particolare delle azioni reali aventi ad oggetto beni immobili. In ogni caso, atteso che ai sensi del 5 l. 218/1995 non sussiste la giurisdizione italiana rispetto ad azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all’estero, come in tali casi non avrebbe effetto nemmeno l’accettazione della giurisdizione italiana (si parla infatti di carenza assoluta di giurisdizione, rilevabile d’ufficio ed insanabile), così deve ritenersi inefficace l’eventuale deroga convenzionale alla giurisdizione italiana a fronte di azioni reali relative ad immobili situati in Italia. Ad analoga soluzione si dovrebbe pervenire anche negli altri casi elencati dal 16, per i quali è prevista una “competenza esclusiva”, nel senso cioè di un’inderogabilità di tale competenza.

Litispendenza all’estero

Come il 2 c.p.c. (Inderogabilità convenzionale della giurisdizione) sanciva in linea generale l’inderogabilità convenzionale della giurisdizione italiana, così il 3 (Pendenza di lite davanti a giudice straniero) proclamava l’irrilevanza, per l’ordinamento italiano, della pendenza davanti ad un giudice straniero della medesima causa o di altra con questa connessa.

Tale disciplina è stata per così dire “capovolta” dalla nuova normativa dettata dalla l. 218/1995, che ha espressamente abrogato il 3 c.p.c.: dispone infatti il 7 della predetta legge che il giudice italiano davanti al quale sia eccepita la previa pendenza dinanzi a giudice straniero di domanda avente il medesimo oggetto ed il medesimo titolo sospende il giudizio se ritenga che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l’ordinamento italiano. Il provvedimento di sospensione del processo italiano è dunque subordinato alla ricorrenza di due requisiti:

a. che il giudizio pendente all’estero sia anteriore a quello iniziato in Italia;

  1. una valutazione di tipo “prognostico” circa l’idoneità del provvedimento straniero a produrre effetti nell’ordinamento italiano.

Alla sospensione, in base all’indicata valutazione (ma indipendentemente dall’altro requisito, della prevenzione), il giudice italiano può pervenire anche quando sia pendente all’estero una causa connessa per pregiudizialità rispetto a quella promossa in Italia.

Secondo l’opinione che pare preferibile il provvedimento di sospensione va emesso nelle forme dell’ordinanza (che ex 42 c.p.c. [Regolamento necessario di competenza] parrebbe suscettibile di impugnazione mediante regolamento necessario di competenza).

Esenzioni dalla giurisdizione

In virtù di una norma consuetudinaria di diritto internazionale, cui il diritto italiano si conforma (10, comma I Cost.: «L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute»), sono esenti dalla giurisdizione gli Stati esteri in tutto ciò che costituisce esercizio della loro sovranità. La giurisdizione italiana si esercita invece anche nei loro confronti, con le stesse limitazioni stabilite in genere nei confronti dello straniero, quando esplicano la loro attività in rapporti di diritto privato. Tuttavia le misure esecutive e cautelari possono compiersi a loro danno solo in caso di reciprocità e previa autorizzazione del Ministro della giustizia (l. 1263/1926).

Godono di immunità dalla giurisdizione anche gli agenti diplomatici e consolari stranieri accreditati presso lo Stato italiano.

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