Vi sono due opinioni:
– Nelle norme si parla di efficacia esecutiva, in realtà l’orientamento nettamente prevalente in dottrina e giurisprudenza riconosce al decreto ingiuntivo definitivo l’idoneità a produrre l’efficacia della cosa giudicata materiale (quell’accertamento incontrovertibile che fa stato ad ogni effetto);
– L’orientamento minoritario invece riconosce al decreto ingiuntivo una diversa efficacia parlando di preclusione pro iudicato.
La preclusione pro iudicato consisterebbe nell’impossibilità di riproporre la medesima domanda (di segno positivo se è stata rigettata, e di segno negativo invertito se è stata accolta), coinciderebbe perfettamente quindi con l’effetto negativo della cosa giudicata materiale (vedi p. 68). Anche in questo caso poi vi è l’impossibilità di ripetere l’indebito di quanto è stato spontaneamente prestato. Con la preclusione pro iudicato però non si produrrebbe l’effetto positivo della cosa giudicata.
Quest’opinione è stata elaborata perché una parte della dottrina ritiene inconcepibile pensare che sia idoneo a produrre l’efficacia di cosa giudicata materiale un provvedimento pronunciato al termine di un procedimento che si svolge inaudita altera parte (in assenza totale del contraddittorio). L’altra opinione invece afferma che è vero che quel provvedimento si è formato in assenza della parte intimata, ma è anche vero che quel provvedimento è notificato alla parte ingiunta la quale avrebbe la possibilità di far valere le sue ragioni instaurando un processo a cognizione piena (un processo in cui il contraddittorio è pieno). Nel caso di mancata opposizione è vero che non si instaura nessuna fase processuale in cui nessun contraddittorio è pienamente realizzato, ma quel contraddittorio è potenzialmente instaurato (dipende solo dal comportamento del debitore il fatto di non instaurare il contraddittorio).
Vi sono poi degli argomenti di diritto positivo che contraddicono l’opinione che ha configurato l’efficacia di preclusione pro iudicato. Questi inducono a ritenere che in realtà il decreto ingiuntivo produce esattamente un’efficacia assimilabile a quella di una sentenza. L’art. 566 c.p.c. prevede che contro il decreto ingiuntivo divenuto definitivo possano essere proposte una serie di impugnazioni:
La revocazione per i motivi di cui al n. 1), 2), 5), 6) dell’art. 596 c.p.c.;
L’opposizione di terzo revocatoria (art. 404.2 c.p.c.).
La revocazione per i motivi di cui al n. 1), 2) e 6) è una revocazione straordinaria che si propone anche contro la sentenza passata in giudicato. Ma allora se si ammette che si possa proporre un impugnazione straordinaria contro il decreto ingiuntivo definitivo, allora significa che questo è stato assimilato ad una sentenza passata in giudicato. Lo stesso ragionamento vale per l’opposizione di terzo revocatoria.
Si prevede anche che possa essere proposta la revocazione per il motivo di cui al n. 5) contro il decreto ingiuntivo definitivo. Questo prevede che si possa impugnare una sentenza quando è in contrasto con altra sentenza avente efficacia di cosa giudicato pronunciata tra le stesse parti. La ragione del motivo di cui al n. 5) è che una sentenza è in contrasto con altra sentenza che produce l’autorità della cosa giudicata. Se si ammette che questo tipo d’impugnazione, che ha come presupposto il contrasto con l’efficacia di cosa giudicata di un’altra sentenza, possa essere proposta contro il decreto ingiuntivo definitivo, significa che questo è idoneo a produrre la stessa efficacia che produce una sentenza.
Se normalmente il motivo di cui al n. 5) è un motivo di revocazione ordinaria, quindi è previsto contro una sentenza che non è passata in giudicato (anzi la proponibilità della revocazione ordinaria impedisce il passaggio in giudicato), qui è un motivo di revocazione straordinaria poiché l’impugnazione è proponibile contro un decreto ingiuntivo già divenuto definitivo.
Ma è proprio vero che il decreto ingiuntivo divenuto definitivo non produce l’effetto positivo della cosa giudicata?
Non è vero, poiché è possibile proporre l’opposizione di terzo revocatoria contro decreto ingiuntivo divenuto definitivo. Questa opposizione di terzo può essere proposta, oltre che dai creditori delle parti, anche dagli aventi causa delle parti quando il decreto ingiuntivo è l’effetto di dolo o collusione. Nel concetto di avente causa c’è anche chi è titolare di una situazione dipendente da quella del processo. Si riconosce quindi che possano opporre opposizione di terzo revocatoria i titolari di situazioni dipendenti, quindi sul piano teorico è scorretto ritenere che il decreto ingiuntivo non possa produrre l’effetto positivo della cosa giudicata perché legittimati all’opposizione di terzo revocatoria sono proprio gli aventi causa.
Sul piano pratico poi non è ipotizzabile individuare una situazione sostanziale che dipenda dai diritti per quali esiste il procedimento per ingiunzione (diritti di credito aventi per una somma liquida di denaro, per una quantità determinata di cose fungibili e per la consegna di una cosa mobile determinata). Non è configurabile l’esistenza di un processo avente ad oggetto una situazione sostanziale che dipenda da quella oggetto del decreto ingiuntivo.
Contro il decreto ingiuntivo divenuto definitivo è possibile proporre opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.). Questo quando la parte dimostra di non aver avuto conoscenza del decreto:
– A causa di un’irregolarità nella notificazione;
– O per caso fortuito o forza maggiore.
Una sentenza della Corte Costituzionale ha ampliato l’ambito di applicazione di questa norma anche per coloro che hanno sì avuto conoscenza del decreto ma non hanno potuto proporre opposizione tempestiva per caso fortuito o forza maggiore.
L’art. 650 c.p.c. fissa però un limite di 10 giorni dal primo atto di esecuzione, questo perché non si vuole lasciare possibilità infinita di proporre opposizione tardiva.
Per quanto riguarda l’irregolarità della notificazione, è irregolare ogni divergenza dalla fattispecie normativa, anche quando non comporta nullità. Il concetto di irregolarità è più ampio di quello della nullità: nell’ipotesi dell’art. 647 c.p.c. si prevede anche l’obbligo per il giudice di rinnovare la notificazione del decreto quando risulti probabile che il debitore non abbia avuto conoscenza del decreto.
Bisogna stabilire se sia possibile per il debitore opponente, che è attore, chiamare in causa un terzo.
Esempio: il creditore ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti del fideiussore, il fideiussore propone opposizione ma potrà avere tutto l’interesse a chiamare in causa l’obbligato principale per far valere il suo diritto di regresso (proponendo una domanda di condanna subordinata ed eventuale al rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo).
La giurisprudenza in casi di questo genere ha dichiarato inammissibile la chiamata in causa del terzo, sostenendo che l’opponente doveva chiedere l’autorizzazione a chiamare in causa il terzo. Quest’opinione non si giustifica sotto nessun profilo, sia che si consideri l’opponente come attore in senso formale, sia che lo si consideri come convenuto in senso sostanziale.
Nel processo ordinario di cognizione l’autorizzazione del giudice per chiamare in causa il terzo è richiesta per l’attore che vuole chiamare in causa un terzo nel corso del processo: lo potrà fare solo chiedendolo alla prima udienza quando l’interesse alla chiamata del terzo sorge dalle difese del convenuto. Dal punto di vista tecnico il debitore ingiunto inizia un processo di cognizione (non chiama in causa un terzo nel corso del processo), quindi non si giustifica quest’opinione.
Se invece assimiliamo il debitore opponente al convenuto, allora vediamo che il convenuto non deve mai avere l’autorizzazione per chiamare in causa un terzo, semplicemente dichiara nella comparsa di risposta di voler chiamare in causa un terzo e chiede lo spostamento della prima udienza. Nel caso del procedimento per ingiunzione non ha senso che il debitore dichiari di voler chiamare in causa un terzo chiedendo la fissazione di una nuova prima udienza, questo perché è lui che fissa l’udienza (quindi può già fissare l’udienza nel rispetto dei termini a comparire del terzo).
La sentenza è soggetta alle impugnazione ordinaria. Se non viene proposta impugnazione, e se non viene proposta l’opposizione a decreto ingiuntivo, si verifica un fenomeno analogo a quello previsto dall’art. 161.1 c.p.c.: il decreto ingiuntivo divenendo definitivo vede sanate le sue nullità.