Arbitro libero
L’art. 808ter c.p.c. prevede per la prima volta in via generale l’arbitrato irrituale (“determinazione contrattuale”). La locuzione “in deroga a quanto disposto dall’art. 824bis c.p.c.” significa che il Lodo libero non ha efficacia di sentenza (l’art. 824bis c.p.c. afferma che il Lodo rituale ha efficacia di sentenza).
La locuzione “salvo quanto disposto dall’art. 825 c.p.c.” contenuta nell’art. 824bis c.p.c. significa che il Lodo rituale produce gli effetti di sentenza per quanto riguarda l’effetto di accertamento e l’effetto costitutivo, mentre per attribuire l’efficacia esecutiva si deve effettuare il procedimento di l’exequatur.
L’espressione “altrimenti si applicano le disposizioni del presente libero” dell’art. 808ter c.p.c. afferma il ribaltamento della regola in dubio pro arbitrato libero, afferma la regola in dubio pro arbitrato rituale.
In precedenza il Lodo libero era pronunciato al termine di un procedimento che non era disciplinato dalla legge, e i rimedi erano le impugnative negoziali.
Nel secondo comma dell’art. 808ter c.p.c. si introducono dei motivi di annullabilità del Lodo libero: importante è quello del n 5) che prevede la mancata osservanza del principio del contraddittorio nel procedimento arbitrale. Si risolve così il problema del rilievo del contraddittorio (si può anche rimediare agli abusi degli arbitri). Inoltre, visto che si parla di “procedimento arbitrale”, il legislatore sembra aver introdotto il concetto di procedimento nell’arbitrato libero.
Si ritiene che quest’elencazione non sia tassativa, altrimenti non sarebbero proponibili le impugnative negoziali.
Si prevede che il Lodo libero non possa produrre l’efficacia esecutiva (motivo n. 5 art. 808ter c.p.c.).
Ci si chiede se il legislatore con l’art. 808ter c.p.c. abbia voluto disciplinare l’arbitrato libero oppure introdurre un tertium genus. Se le parti potevano produrre un arbitrato libero prima della riforma, perché non dovrebbero poterlo fare anche adesso?
Arbitrato rituale
L’art. 809 c.p.c. prevede che gli arbitri debbano essere in numero dispari, poi prevede delle modalità per arrivare alla nomina degli arbitri qualora le parti non l’abbiano fatto nella convenzione d’arbitrato. L’art. 810 c.p.c. afferma che ciascuna parte nomina gli arbitri (es. in un collegio di tre arbitri ciascuna parte nomina un arbitro, il terzo poi verrà nominato dalle parti in comune accordo o dal Presidente del tribunale).
L’art. 819ter c.p.c. parla di “competenza” degli arbitri. Si ripristina la configurazione dell’eccezione di arbitrato rituale come eccezione di incompetenza, al secondo comma la si assoggetta alla stessa disciplina prevista per l’eccezione di incompetenza per territorio semplice.
La mancata proposizione dell’eccezione di competenza determina l’inefficacia dell’arbitrato, ma limitatamente a quella controversia (non riguardo a quelle future).
L’art. 819ter c.p.c. afferma che è possibile adire l’arbitro anche se la causa è già pendente davanti al giudice. Inoltre si prevede che ciascun giudice è giudice della propria competenza: è il giudice ordinario che decide se è competente sulla sua competenza, e viceversa (cosiddett regola della kompetenz – kompetenz).
Prima della riforma del ’94 vigeva la regola della vis actractiva: se vi era una controversia pendente davanti all’arbitro (deferita volontariamente), e una causa connessa pendente davanti al giudice (non compresa nella convenzione d’arbitrato), la causa pendente davanti all’arbitro subiva la forza attrattiva della causa pendente davanti al giudice (l’arbitro diveniva incompetente).
Il secondo comma dell’art. 819ter c.p.c. afferma che nei rapporti tra arbitrato e processo non si applicano una serie di articoli:
– L’art. 44 c.p.c. che disciplina l’efficacia della pronuncia di incompetenza rispetto al giudice dichiarato competente (vedi p. 50);
– L’art. 48 c.p.c. che prevede la sospensione del provvedimento quando viene sollevato regolamento di competenza;
– L’art. 50 c.p.c. che prevede la translatio iudicii;
– L’art. 295 c.p.c. che prevede la sospensione necessaria del processo.
L’art. 819ter c.p.c. ultimo comma prevede che la pendenza del procedimento arbitrale determina l’impossibilità di proporre domande giudiziali aventi ad oggetto l’invalidità o l’inefficacia della convenzione d’arbitrato. Sembra porre un limite temporale a questo tipo di domande, che tradizionalmente erano escluse. Si è pensato ad ammetterle solo quando l’eccezione di arbitrato rituale è stata configurata come eccezione di merito. Sembra quasi voler ammettere questi procedimenti in via autonoma.
Una riforma del 1994 ha modificato gli articoli 2943 e 2945 cc.: la domanda di arbitrato è stata equiparata alla domanda giudiziale quanto alla produzione degli effetti sostanziali della domanda (effetto sospensivo della prescrizione, effetto interruttivo della prescrizione, effetto impeditivo della decadenza).
L’art. 818 c.p.c. parla dei provvedimenti cautelari: afferma che “gli arbitri non possono concedere sequestri né provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge”. L’art. 669quinqies c.p.c. concede la possibilità di concedere provvedimento cautelare, sia ante causa che in corso di causa (vedi p. 118). Questa disposizione è stata prevista della legge del 1990 con riferimento all’arbitrato rituale, poi nel 2006 è stata estesa anche all’arbitrato libero.
L’art. 816ter c.p.c. ha previsto espressamente che gli arbitri possano assumere la prova per testimoni. Il problema è stabilire cosa accada quando il testimone non compare (il giudice penale ed il giudice civile possono disporre l’accompagnamento coatto): si è attribuito agli arbitri il potere di rivolgersi al Presidente del tribunale affinché questo ne ordini la comparizione dinnanzi agli arbitri (se si configurano questi arbitri come giudici privati, come è ormai invalso nella dottrina, è difficile attribuire loro poteri coercitivi).
È stata affidata la possibilità agli arbitri di avvalersi della CTU, possono anche chiedere informazioni alla P.A.
L’art. 816bis c.p.c. prevede il potere delle parti di determinare le regole del procedimento prima dell’inizio del procedimento arbitrale. Se le parti esercitano questo potere, gli arbitri sono vincolate ad osservarle. Se invece le parti non hanno esercitato questo potere, gli arbitri sono liberi di regolare il provvedimento nel modo che ritengono più opportuno, fermo in ogni caso l’obbligo di osservare il principio del contraddittorio (prima del 2006 quest’obbligo non era previsto, lo si deduceva dalla previsione di un motivo di annullabilità per mancata osservazione del contraddittorio).
Si riteneva che gli arbitri non potessero fissare delle preclusioni in ordine all’allegazione di fatti o alla richiesta di meni di prova. Non ci sono ragioni per far venir meno questa regola.
L’art. 816quinquies c.p.c. ammette l’intervento volontario e coatto del terzo, purché vi sia l’accordo del terzo e delle parti, ed anche il consenso degli arbitri. Questo accordo è necessario in quanto la situazione sostanziale di cui è titolare il terzo non è compresa nella convenzione d’arbitrato. Serve il consenso degli arbitri poiché questi hanno accettato l’incarico in relazione alla controversia instaurata, con l’intervento del terzo la controversia può divenire molto più complessa (perché dovrebbero essere vincolati al termine entro cui emanare il Lodo se poi la controversia è divenuta più complessa?).
Sono sempre ammessi l’intervento adesivo e l’intervento del litisconsorte pretermesso.
Prevede anche che si debba applicare l’art. 111 c.p.c. (vedi p. 111).
L’art. 817bis c.p.c. ha risolto il problema se sia ammessa o meno l’eccezione di compensazione di un controcredito non compreso nella comprensione d’arbitrato. Il legislatore ha previsto che questa sia ammissibile.
Nell’art. 819 c.p.c. il legislatore ha dato al problema delle questioni pregiudiziali di merito che possono presentarsi nel procedimento arbitrale una soluzione simile per quella prevista per il giudizio davanti al giudice ordinario: si prevede che gli arbitri possono risolvere senza autorità di giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisione della controversia, anche se queste questioni vertono su materie non comprese nella convenzione d’arbitrato, salvo che siano quelle questioni pregiudiziali debbano essere decise con efficacia di giudicato per legge (salvo che siano quelle questioni pregiudiziali che si trasformino in accertamenti incidentali ex lege). In questo caso l’art. 819bis c.p.c. n. 2) prevede un’ipotesi specifica di sospensione del procedimento arbitrale.
In caso di sospensione, il procedimento si estingue se nessuna parte deposita presso gli arbitri istanza di prosecuzione entro il termine fissato dagli arbitri stessi o, in mancanza, entro 1 anno dalla cessazione della causa di sospensione. Nel caso previsto dal primo comma n. 2) il procedimento si estingue se entro 90 giorni dall’ordinanza di sospensione nessuna parte deposita presso gli arbitri copia autentica dell’atto con il quale la controversia sulla questione pregiudiziale è proposta davanti all’autorità giudiziale (entro 90 giorni dalla sospensione una delle parti deve proporre domanda giudiziale che ha per oggetto quella questione che deve essere decisa con efficacia di giudicato ex lege).
Impugnazioni proponibili contro il lodo arbitrale:
– Revocazione straordinaria;
– Opposizione di terzo (sia ordinaria che revocatoria);
– Nullità: và proposta alla Corte d’Appello (è un giudizio in unico grado). È un’impugnazione rescindente, si può impugnare per gli specifici vizi previsti dalla legge (art. 829 c.p.c.).
Se viene accolta si apre il momento rescissorio:
Talvolta è la stessa Corte che pronuncia sul momento rescissorio. La fase rescissoria può venire meno per volontà delle parti (possono preferire di avere una pronuncia degli arbitri), possono accordarsi in questo senso sia con la pronuncia d’arbitrato che dopo la pronuncia del Lodo;
Altre volte non si apre la fase rescissoria (per i motivi n. 1), 2), 3), 4), 10) art. 829 c.p.c.). In quest’ultimo caso se le parti vogliono la pronuncia devono adire nuovamente gli arbitri.