Questo è un mezzo per risolvere le controversie (la controversia deve essere sorta).

Bisogna distinguerlo dall’ arbitraggio (art. 1349 cc) che sia ha quando le parti, nel momento di stipulare il contratto, rimettono la determinazione della prestazione ad un terzo (arbitratore). Nell’arbitraggio non si può dire che sia sorta una controversia su una situazione sostanziale, questo perché il contratto non si è nemmeno perfezionato.

Vi sono tre periodi da tener presenti:
1. Arbitrato fino al 2000 (cosiddett opinione tradizionale);
2. Arbitrato 2000 – 2006 (cosiddett orientamento giurisprudenziale);
3. Arbitrato post riforma 2006.

Arbitrato fino al 2000

Bisogna distinguere fra:
– Arbitrato rituale (decisorio o giurisdizionale): è un fenomeno che avviene sul piano giurisdizionale pubblicistico. Gli arbitri secondo l’opinione prevalente sono dei soggetti privati, nominati dalle parti (privati nel senso che non sono togati). Pronunciano un provvedimento che si chiama Lodo.

Il Lodo, secondo l’opinione preferibile, aveva l’efficacia di sentenza e poteva essere impugnato con l’impugnazione di nullità del lodo rituale. Quest’impugnazione determinava il rientro dell’arbitrato nell’alveo della giurisdizione. Tale impugnazione veniva proposta davanti alla corte d’Appello quale giudice di unico grado.

Il Lodo aveva efficacia costitutiva e di accertamento, per acquistare efficacia esecutiva doveva essere sottoposto al procedimento per ottenere l’exequatur (cosiddett decreto di esecutività del Lodo): doveva essere depositato in Cancelleria, il giudice faceva un controllo di regolarità formale e poi emetteva il decreto di esecutività;
– Arbitrato irrituale (negoziale, contrattuale, libero): avveniva sul piano privatistico. Il Lodo aveva efficacia di un negozio. Contro di esso erano esperibili i rimedi previsti per i negozi (impugnative negoziali).

Questi due istituti avevano degli elementi in comune:
– Potevano avere come fonte sia il compromesso che la clausola compromissoria:
Compromesso: contratto con cui le parti deferiscono agli arbitri la soluzione di una controversia già sorta;
Clausola compromissoria: accordo con cui le parti deferiscono agli arbitri la soluzione di controversie future. Spesso questa clausola è contenuta in un contratto, e si riferisce ai rapporti relativi a quel contratto (il deferimento può avvenire anche solo per una parte dei rapporti di quel contratto). Può anche essere stipulata con atto separato, ma in tal caso devono essere indicati i rapporti in ordine ai quali possono sorgere le controversie deferite agli arbitri.
– L’arbitrato è consentito per rapporti disponibili, non per rapporti indisponibili;
– Avevano un notevole successo, per vari motivi:
La durata era molto breve (circa 6 mesi);
L’arbitrato era molto de formalizzato rispetto al procedimento ordinario di cognizione (specie l’arbitrato libero);
Le parti sceglievano personalmente gli arbitri. Questo faceva si che scegliessero arbitri competenti in materia, e questi godevano della fiducia delle parti che li avevano scelti;
Il fenomeno arbitrale non risultava al fisco, il Lodo sfuggiva all’imposizione tributaria. Questo non era sempre vero per l’arbitrato rituale: era vero finché c’era un adempimento spontaneo da parte del soccombente, in caso contrario la parte vittoriosa, dovendo procurarsi in titolo esecutivo per procedere all’esecuzione forzata, doveva depositare il Lodo presso la cancelleria del tribunale, ed in quel momento il Lodo era soggetto ad imposizione fiscale.

Il procedimento era differente fra arbitrato rituale e irrituale:
– L’arbitrato libero era un fenomeno sorto dalla pratica, è stato riconosciuto dal legislatore per la prima volta nel 2006 (prima aveva trovato un riconoscimento nel codice della navigazione). La conseguenza era l’assenza totale di vincoli nei modi di procedere. Questo però poteva anche comportare abusi da parte degli arbitri liberi, in particolare riguardo il rispetto del contraddittorio;
– L’arbitrato rituale aveva un procedimento, non vi erano problemi di tutela del contraddittorio. Tradizionalmente l’unica regola che dovevano osservare gli arbitri nel procedimento era proprio il rispetto del contraddittorio (lo si deduceva dal fatto che la violazione del principio del contraddittorio era uno specifico motivo di nullità del Lodo rituale).
Anche gli effetti giuridici del deferimento agli arbitri erano differenti fra arbitrato rituale e libero:
– L’eccezione di arbitrato rituale era configurata dalla giurisprudenza come un’eccezione di incompetenza per territorio semplice. Questo però non si concilia affatto con i concetti di competenza del nostro ordinamento: problemi di competenza si configurano solo fra giudici appartenenti allo stesso ordine giurisdizionale, non fra un privato e un giudice ordinario. La giurisprudenza aveva operato tale configurazione in quanto si voleva arrivare ad una rapida decisione sulla questione di incompetenza (l’eccezione di incompetenza per territorio semplice è soggetta a delle preclusioni: deve essere eccepita nella comparsa di risposta a pena di decadenza), di modo di non lasciarla pendere durante tutto l’arbitrato;
– L’eccezione di arbitrato libero era equiparata all’eccezione di difetto di giurisdizione.

Altra differenza era il tipo di rimedio previsto:
– Solo nell’ambito dell’arbitrato rituale era ammesso il regolamento di competenza, sia necessario che facoltativo, contro la pronuncia sulla competenza. Questo però solamente se veniva adito il giudice ordinario, se invece era l’arbitro a pronunciarsi sulla propria competenza allora non era ammesso regolamento di competenza;
– Sulla pronuncia sulla questione di eccezione dell’arbitrato libero era ammesso il regolamento di giurisdizione, ma solo se la pronuncia era emessa dal giudice ordinario.
Tradizionalmente il deferimento della controversia ad arbitrato libero viene configurato come una rinuncia alla giurisdizione.

Alcuni leggi, specie in materia di appalti, prevedevano l’obbligatorietà dell’arbitrato rituale (cosiddett arbitrati obbligatori). La Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di molte norme che prevedevano questi arbitrati obbligatori ritenendo che violassero il diritto di difesa, questo perché, in base alla costituzione tutti possono agire per la tutela dei propri diritti, quindi le parti devono avere la possibilità di scegliere se agire davanti al giudice oppure nominare degli arbitri. Successivamente a questa pronuncia le norme restanti non dichiarate incostituzionali sono state interpretate nel senso che l’arbitrato è solamente facoltativo.

Quando le parti stipulano un patto arbitrale libero in realtà pongono in essere due contratti:
– Contratto cornice: è un contratto in bianco, privo di contenuto (intercorre tra le parti);
– Contratto di mandato: in base a questo l’arbitro si obbliga a determinare il contenuto del contratto cornice (intercorre tra le parti e gli arbitri).
Il contratto cornice, il cui contenuto è determinato dagli arbitri, è il Lodo libero.
Questa costruzione è stata criticata sul rilievo che sarebbe una finzione giuridica (le parti quando concludono un arbitrato libero non pensano certo ad un contratto di cornice o ad un contratto di mandato).
La difficoltà sta nello spiegare l’arbitrato libero con le categorie privatistiche.

Si può attribuire agli arbitri di decidere secondo diritto o secondo equità:
– Quando gli arbitri liberi decidono secondo diritto, il Lodo libero sarebbe un negozio di accertamento. Ma se il fondamento del Lodo libero è l’autonomia privata, allora le parti possono costituire, modificare o estinguere propri diritti, ma non produrre l’effetto di accertamento (il negozio di accertamento è incompatibile con l’autonomia privata);
– Quando gli arbitri liberi decidono secondo equità, il Lodo sarebbe una transazione. La transazione implica la reciproca rinuncia a diritti che preesistono, invece nel lodo libero di equità molto spesso si ha la costituzione di situazioni sostanziali completamente nuove.

Viste queste difficoltà c’è chi considera il patto arbitrale (clausola compromissoria e compromesso) come un contratto innominato con causa atipica.
Un problema era quello di distinguere i patti arbitrali rituali da quelli liberi: spesso questi comprendevano elementi che facevano pensare all’arbitrato rituale e anche elementi che facevano pensare all’arbitrato irrituale. La giurisprudenza aveva applicato due criteri:
– Criterio quantitativo – numerico: si contava il numero degli elementi che facevano pensare a un arbitrato o all’altro, e poi prevaleva quello con il maggior numero;
– Criterio in dubio pro arbitrato libero.

Arbitrato 2000 – 2006

La Cassazione ha accolto l’opinione secondo cui sono entrambi due fenomeni privatistici: il Lodo rituale produce anch’esso effetti negoziali, l’unica differenza con il Lodo libero sta nel fatto che il Lodo arbitrale poteva acquistare efficacia esecutiva con il procedimento di exequatur (non c’è nulla di strano che un atto privatistico sia titolo esecutivo, ad es. l’art. 474 c.p.c. prevede che la cambiale e l’assegno possano acquistare efficacia esecutiva).

Vi era sempre stato un problema di stabilire qual’era la natura dell’efficacia del Lodo rituale. La Convenzione di New York in materia di arbitrato si applica ai Lodi che producono efficacia di sentenza, proprio perché l’Italia ha aderito a questa convenzione ci sono state due riforme dell’83 e ’94 che volevano fare in modo che il Lodo rituale avesse efficacia di sentenza, invece in entrambe le discipline il legislatore non è stato chiaro. Per via interpretativa l’opinione preferibile riteneva che il Lodo rituale avesse efficacia di sentenza, ma erano sempre state formulate opinioni che affermavano avesse efficacia negoziale che poteva acquistare efficacia di sentenza.

Questo problema è stato risolto solo nel 2006 quando si è stabilito che il Lodo rituale abbia efficacia di sentenza.
Mentre l’eccezione di arbitrato libero continuava ad essere configurata come un’eccezione di difetto di giurisdizione, l’eccezione di arbitrato rituale venne configurata come un’eccezione di merito (aveva per oggetto l’invalidità o l’inefficacia del patto arbitrale). Si era iniziato a prospettare la possibilità di instaurare autonomi processi aventi ad oggetto la determinazione dell’invalidità e dell’inefficacia del patto arbitrale. Questo però faceva venir meno la differenza fra arbitrato libero e arbitrato rituale, la dottrina ha criticato molto questo orientamento fino ad obbligare l’intervento del legislatore con la riforma del 2006.

Arbitrato post 2006

La riforma ha ripristinato l’arbitrato così come era inteso tradizionalmente, però ha comportato anche una maggior complessità dell’arbitrato rituale. Si è anche introdotta una certa procediementalizzazione dell’arbitrato libero.
La clausola compromissoria ed il compromesso devono avere la forma scritta a pena di nullità (art. 807 e 808 c.p.c.).
L’art. 808bis c.p.c. parla di “convenzione di arbitrato”, con quest’espressione ci si vuole riferire sia al compromesso che alla clausola compromissoria.
Introduce la possibilità di avere arbitrati in materia non contrattuale per la decisione di controversie future, però i rapporti non contrattuali devono essere determinati (questo vale anche in materia contrattuale). In caso contrario le convenzioni arbitrali sarebbero nulle per indeterminatezza dell’oggetto.

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