La funzione giurisdizionale internazionale ha ancor oggi natura arbitrale, essendo ancorata al principio per cui un giudice internazionale non può giudicare se la sua giurisdizione non è stata preventivamente accettata da tutti gli Stati parti di una controversia.

In un’epoca, come la nostra, che vede crearsi solidarietà internazionali al livello degli individui componenti le varie comunità statali, solidarietà fondate sulla comunanza di ideologie, il fatto che l’applicazione del diritto internazionale finisca col dipendere dal giudice dello stesso Stato che magari ha interesse a disapplicarlo, significa poco: il giudice interno può essere più internazionalista del proprio Stato, ed anche più internazionalista di un giudice internazionale.

Gli Stati sono liberi di deferire ad un tribunale internazionale una qualsiasi controversia che riguardi i loro rapporti; ciò che è importante è che essi siano d’accordo nel sottoporre la controversia ad un’istanza giurisdizionale internazionale accettandone come vincolante la decisione.

La Corte Permanente di Giustizia Internazionale nella sentenza del 1929 nell’affare Mavrommatis disse che la controversia è un disaccordo su di un punto di diritto o di fatto, un contrasto, un’opposizione di tesi giuridiche o di interessi tra due soggetti.

Non esistono controversie “giustiziabili” e controversie “non giustiziabili”.

La stessa distinzione tra controversie giuridiche e controversie politiche, consistente nel fatto che nelle seconde, a differenza che delle prime, entrambe le parti (secondo alcuni) o almeno una (secondo altri) non invocassero il diritto internazionale ma pretendessero di mutarlo a loro favore, ha ormai scarso significato.

È una questione di interpretazione di ogni singolo accordo in materia di giurisdizione internazionale lo stabilire a quali controversie esso si riferisce e quindi chiarire il significato delle clausole con cui determinate categorie di controversie vengono escluse.

Non risultano casi in cui la Corte Internazionale di Giustizia si sia rifiutata di giudicare a causa dell’eccezione di “politicità” della controversia, eccezione sollevata (e respinta dalla Corte) tra l’altro dall’Iran e dagli Stati Uniti rispettivamente nell’affare del Personale diplomatico e consolare degli Stati Uniti a Teheran e nell’affare delle Attività militari e paramilitari in Nicaragua, competenza e ricevibilità.

Il processo internazionale ha dunque carattere sostanzialmente arbitrale, riposando sull’accordo di tutti gli Stati parti di una controversia: se tale accordo manca, non è possibile costringere uno Stato a sottoporsi a giudizio.

Punto di partenza dell’evoluzione dell’istituto è l’arbitrato isolato: nel secolo scorso l’arbitrato si svolgeva nel modo seguente: sorta una controversia tra due o più Stati, si stipulava un accordo, il c.d. compromesso arbitrale, col quale si nominava un arbitro od un collegio di arbitrale, si stabiliva eventualmente qualche regola procedurale, e ci si obbligava a rispettare la sentenza.

Grosso modo possono distinguersi due fasi di sviluppo.

Nella prima fase si guarda quando alla fine del secolo scorso comparvero quel tipo di clausola compromissoria e di trattato generale di arbitrato che chiameremo “non completi”, per distinguerli dalla clausola compromissoria e dal trattato generale di arbitrato “completi”.

La clausola compromissoria (non completa) accede ad una qualsiasi convenzione e crea l’obbligo per gli Stati di ricorrere all’arbitrato per tutte le controversie che sorgano in futuro in ordine all’applicazione ed interpretazione della convenzione medesima; analoga è la funzione del trattato generale di arbitrato (non completo) che crea un obbligo generico di ricorrere ad arbitrato addirittura per tutte le controversie che possano sorgere in futuro tra le Parti contraenti eccettuate alcune controversie (c.d. clausola eccettuativa dei trattati di arbitrato).

Clausola compromissoria e trattato di arbitrato non completi creano soltanto un obbligo de contrahendo, cioè l’obbligo di stipulare il compromesso arbitrale.

 

Struttura ed organizzazione della giurisdizione internazionale    

Nello stesso periodo si assiste all’avvio della tendenza ad istituzionalizzare i tribunali internazionali, cioè a creare organi arbitrali permanenti e a predisporre regole di procedura applicabili in ogni procedimento così instaurato.

 

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