Bisogna capire se l’uso del termine “fatto” del C.P. e del C.P.P. sia identico o no a quello che ne fa il diritto costituzionale. Limitiamoci al C.P. e si è già visto come il fatto su cui si incentra il disposto dell’art 1 C.C. vada inteso negli stessi termini di quelli che caratterizzano il precetto cos. Le ragioni di garanzia che sono alla base dell’art 1 C.P. sarebbero eluse se nella nozione in questione non si comprendessero anche l’elemento soggettivo e l’assenza di scriminanti. Il termine fatto non può che esprimere gli elementi oggettivi del reato proprio per la contrapposizione esistente tra elemento soggettivo e ciò che ne costituisce l’oggetto: in particolare il fatto vedendo il 47 C.P. ”l’errore sul fatto che costituisce reato esclude la punibilità dell’agente” si capisce che il fatto in questa norma è inteso come insieme degli elementi oggettivi positivi. Devono invece necessariamente mancare gli elementi negativi. In definitiva il concetto di fatto nel suo profilo oggettivo si riferisce al dolo (perchè ne costituisce l’oggetto positivo). Ex 47 e 59 rimane poi la responsabilità per colpa: ma le cose non mutano perchè l’errore dovuto a colpa deve concernere o gli elementi positivi (che da dal dolo si riflettono sulla realizzazione dolosa) e o quelli negativi (che nella realizzazione dolosa non devono esser rappresentati dall’agente). In base a ciò otteniamo una nozione di fatto che astraiamo in via di interpretazione sistematica dal diritto positivo e che non coincide con i due concetti di fatto (25 Costituzione, 47 1° C.P.) e ciò permette di comprendere perchè l’errore è trattato ugualmente sia che cada sugli elementi positivi che su quelli negativi.