Non è difficile dimostrare questa affermazione. Si sa che l’agente voleva realizzare una certa offesa verso Caio e poi ciò si realizza verso Tizio. Perché si verifichi il dolo è necessario e sufficiente che nel complesso mentale dell’agente si riflettano i requisiti del fatto concreto accolti nella norma. Ora l’erronea rappresentazione (o ignoranza) di requisiti che nella realtà caratterizzano il fatto storico, non trovano riscontro nella fattispecie astratta, ma non escludono il dolo. Ora anche se a volte certe qualità giuridiche o naturalistiche della persona sono elevati a elementi del fatto, tra queste qualità sicuramente non è mai ricompresa l’identità personale. Quindi la deviazione tra rappresentato e cagionato che riguardi l’identità del soggetto passivo della condotta lascia sussistere un comportamento doloso. Quindi così cade ogni fondamento per sostenere che l’azione aberrante dovrebbe passare per la fase del tentativo nei confronti della vittima designata, in quando l’offesa è imputabile a titolo di dolo nei suoi principi generali.

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