L’art. 52 comma 1° stabilisce che “non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.” La legittima difesa rappresenta un residuo di autotutela che lo Stato concede al cittadino , nei casi in cui l’intervento dell’Autorità non può risultare tempestivo; il fondamento dell’esimente di cui all’art. 51 è ravvisato nella prevalenza attribuita all’interesse di chi sia ingiustamente aggredito rispetto all’interesse di chi si è posto fuori la legge (vim vi repellere licet).

La struttura della legittima difesa ruota attorno a due comportamenti che si contrappongono: la condotta aggressiva e la condotta difensiva.

La condotta aggressiva.

La minaccia deve pervenire da:

  • una condotta umana,
  • da animali o cose solo se è individuabile un soggetto tenuto ad esercitare su di essi una vigilanza.
  • Da una condotta omissiva (es. il rifiuto del proprietario di richiamare il cane mastino che sta aggredendo un bambino costituisce condotta aggressiva e giustifica il padre che impugni un’arma per costringere il proprietario a far allontanare l’animale).

L’aggressione giustifica la reazione difensiva anche se l’aggressore sia un soggetto immune o non imputabile, infatti, è sufficiente che l’aggressore ponga in essere un comportamento antigiuridico, anche se poi l’illiceità viene meno per difetto dei requisiti di natura soggettiva.

L’attacco deve avere ad oggetto un diritto altrui: per diritto si deve intendere non solo il diritto soggettivo in senso stretto, ma qualsiasi interesse giuridicamente tutelato.

L’aggressione deve provocare un pericolo attuale di offesa: non si deve quindi, trattare di un pericolo corso perché non si avrebbe necessità di prevenire un’offesa; e neanche di un pericolo futuro perche sarebbe possibile ricorrere all’intervento dell’autorità. Nella nozione di pericolo attuale però, rientra anche il pericolo permanente, infatti non essendosi esaurita l’offesa, non si è ancora completato il trapasso dalla situazione di pericolo a quella del danno effettivo. (es. il proprietario di un fondo, avendo sorpreso u ladro, esplode un colpo in aria a scopo intimidatorio, il ladro si da alla fuga e dopo un tratto di 50 mt abbandona la refurtiva costituita da 3 piante di cavolfiori. Ciò nonostante il derubato, insegue il ladro per raggiungerlo ed eventualmente arrestarlo, trovatosi a circa 10 mt dal ladro tenta di esplodergli un altro colpo, il ladro vistosi aggredito estrae la pistola e ferisce l’inseguitore. Cass. 20 marzo 1974. In questo caso la scriminante va concessa al ladro, infatti la facoltà di procedere all’arresto ex art. 383 c.p.p. non autorizza ad attentare alla vita dell’inseguitogli esplodendogli contro dei colpi di fucile, quindi vengono meno i presupposti della facoltà di arresto e subentra il pericolo di offesa ingiusta ex. Art. 52 che rende giustificata la reazione difensiva del ladro).

L’offesa deve essere ingiusta: è ingiusta la condotta provocata contra jus, cioè arrecata in violazione delle norme che tutelano l’interesse minacciato. Il riferimento all’ingiustizia dell’offesa sta ad indicare che l’aggressione, oltre a minacciare un diritto altrui, non deve essere espressamente facoltizzata dall’ordinamento. Quindi non può invocare la legittima difesa chi pretende di reagire contro una persona la quale agisca, a sua volta nell’esercizio di una facoltà legittima espressamente stabilita dall’ordinamento o , a fortiori, nell’adempimento di un dovere.

La condotta difensiva

La difesa deve essere necessaria per salvaguardare il bene posto in pericolo: quindi, l’aggredito di fronte all’alternativa tra reagire o subire, non può evitare il pericolo se non reagendo contro l’aggressore. Un’azione è necessaria e quindi inevitabile, e non è sostituibile con un’altra meno dannosa egualmente idonea ad assicurare la tutela dell’aggredito. Il giudizio di necessità- inevitabilità non è però assoluto ma relativo perché si deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto (mezzi a disposizione, forza fisica, modalità dell’aggressione …)

Tradizionalmente si discute se la legittima difesa esuli ove l’ aggredito possa mettersi in salvo con la fuga. Un’opinione diffusa distingue tra fuga e commodus discessus: si sarebbe tenuti a fuggire solo quando le modalità della ritirata siano tali da non far apparire vile il soggetto aggredito, mentre l’aggressore dovrebbe tollerare tutte le conseguenze della sua condotta illecita.

Ovviamente tale opinione è troppo rigida, infatti oggi si ritiene che il soggetto non è tenuto a fuggire in tutti quei casi in cui la fuga esporrebbe i suoi beni personali o di terzi a rischi maggiori di quelli incombenti sui beni propri del soggetto contro il quale si reagisce.

La difesa deve essere proporzionata all’offesa

Secondo un primo punto di vista, oggi in via di superamento, la proporzione dovrebbe intercorrere trai i mezzi difensivi messi a disposizione dell’aggredito e quelli effettivamente impiegati. Quindi la legittima difesa può essere invocata anche da chi reagendo provoca una offesa maggiore di quella a lui minacciata, purché il mezzo impiegato fosse il solo a disposizione dell’aggredito. (es. si potrebbe uccidere un individuo che senza motivo tenta di ammazzare un cane di nostra proprietà, se non siano disponili altri mezzi) ovviamente la tesi della proporzionalità dei mezzi va incontro a obiezioni difficilmente superabili, ad es. il fatto che si potrebbe giustificare la difesa di un bene patrimoniale attraverso la lesione di un bene personale come la vita o l’integrità fisica.

Per cui si accoglie l’orientamento che assume a termine di giudizio di proporzione il rapporto di valore tra i beni o interessi in conflitto: in questo senso occorre operare un bilanciamento tra il bene minacciato e il bene leso, con la conseguenza che l’aggredito che si difende non è consentito di ledere un bene dell’aggressore marcatamente superiore a quello posto in pericolo dall’iniziale aggressione illecita. Il raffronto tra i beni non va operato considerando i beni stessi in astratto ma tenendo conto del rispettivo grado di messa in pericolo o di lesione cui sono esposti gli interessi dinamicamente configgenti nella situazione concreta. ( se è ingiustificato uccidere per salvaguardare un interesse patrimoniale, può apparire lecito infliggere una ferita facilmente curabile per mettere al sicuro un patrimonio di rilevante entità.

Criteri di valutazione invocabili per stabilire la proporzione

  • se il conflitto intercorre tra beni omogenei si dovrà porre a raffronto il rispettivo grado di lesività dell’azione aggressiva e dell’azione difensiva.
  • Se il confronto intercorre tra beni eterogenei, fuori dai casi in cui il rapporto gerarchico è particolarmente evidente dovrà farsi ricorso all’ausilio di indicatori diversi, quali l’eventuale rilevanza costituzionale del bene.

 

Caso

Una sera d’inverno, poco prima della chiusura dei negozi, un popolare calciatore della squadra del Lazio (Re Cecconi) inscena uno scherzo, poi rivelatosi tragico: entrato in gioielleria col bavero alzato e mani in tasca come ad impugnare una pistola, con espressione dura intima ai presenti” fermi questa è una rapina”. Il gioielliere impugna prontamente la pistola e uccide il presunto rapinatore (Cass. 20 Febbraio 1977). Questo è un caso di legittima difesa putativa, perché il gioielliere si rappresenta in una situazione di pericolo esistenze solo in apparenza: la responsabilità penale può venir meno perché l’art. 59 ultimo comma, stabilisce che se l’agente ritiene per errore che esista una causa di giustificazione (e l’errore non è dovuto a colpa), questa è valutata a suo favore. Nel caso sussista anche la proporzione tra i beni in conflitto, dal momento che la minaccia non incombeva solo sul patrimonio, ma sulla stessa vita del gioielliere aggredito.

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