La recidiva è una delle circostanze inerenti la persona del colpevole e letteralmente equivale a una “ricaduta nel reato”. Secondo il testo originario del codice “ a chi dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro, poteva infliggersi un aumento di pena”.

La recidiva è stata però modificata con la legge 252 del 2005, con cui si è perseguito lo scopo di reagire al rischio di una eccessiva svalutazione applicativa della recidiva, con conseguente attenuazione della risposta punitiva, quale effetto di un ritenuto eccesso di clemenzialismo, dovuto a sua volta, alla discrezionalità giudiziale nell’applicazione dell’istituto.

Per tale motivo la recidiva è stata trasformata da facoltativa in obbligatoria e sono stati previsti aumenti di pena più consistenti e ulteriori effetti giuridici. La prima importante modifica ha riguardato l’individuazione dei reati- presupposti identificati non solo nei delitti non colposi, con esclusione dia dell’illecito colposo sia di quello contravvenzionale. Recidivo quindi è chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro parimenti non colposo.

Fondamento dell’istituto

Il fenomeno del recidiviamo cominciò a destare allarme a partire dalla seconda metà dell’ 800, ma la recidiva come categoria giuridica si affermò soltanto dopo , perché contrastava con l’allora predominante concezione classica del diritto penale: la previsione di un aumento di pena (o analoghi effetti giuridici) come conseguenza della ricaduta nel reato da parte dello stesso autore, finiva infatti, con l0alterare qel rapporto di perfetto equilibrio implicito nell’equazione gravità del singolo reato – pena.

Superate le vecchie resistenze, la recidiva è stata inserita in molti codici, per soddisfare esigenze di prevenzione speciale: giustificherebbe un aumento di pena proprio perché la misura di pena inflitta in occasione della precedente condanna, si è rivelata insufficiente a distogliere il reo dal commettere nuovi reati.

La recidiva assurge poi a indice della maggiore capacità a delinquere del soggetto, infatti, il reo dimostrerebbe, per il semplice fatto di persistere nell’illecito, sia una maggiore insensibilità ai dettami dell’ordinamento, sia una maggiore propensione a delinquere in futuro.

L’art. 99 prevede 3 forme di recidiva:

• La recidiva semplice consiste nella commissione di un delitto non colposo a seguito della condanna irrevocabile per un altro delitto non colposo: è indifferente il tempo trascorso dalla precedente condanna. L’aumento di pena è di 1/3 della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo; il trattamento è reso + rigido rispetto alla vecchia disciplina (aumento fino a 1/6), ma è + rigido in misura fissa e non più graduabile dal giudice. Presupposto dell’applicabilità dell’aumento di pena, è che il precedente delitto sia stato accertato con sentenza definitiva di condanna, ma non è necessario che la pena sia stata effettivamente scontata. Inoltre, rilevano ai fini della sussistenza della recidiva, le precedenti condanne per le quali sia intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena, mentre non si considerano le precedenti condanne per le quali siano intervenute cause estintive di tutti gli effetti penali (es. riabilitazione).

La recidiva aggravata si ha se:

  • il nuovo delitto non colposo è della stessa indole (recidiva specifica, art. 101);
  • è stato commesso entro 5 anni dalla condanna precedente (recidiva infraquinquiennale);
  • è stato realizzato durante o dopo l’esecuzione della pena o ancora durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena stessa.

In tali ipotesi la pena può essere aumentata fino alla metà e non più fino a 1/3; alla maggiorazione dell’incremento della pena si accompagna però, il mantenimento del carattere flessibile e discrezionale. Qualora concorrano + circostanze tra quelle che fanno da presupposto alla recidiva aggravata, l’aumento di pena (non “può”) è della metà (art. 99 comma 3°).

Nell’ambito della recidiva aggravata, assume rilevanza la categoria dei reati della stessa indole, in proposito il legislatore ha precisato, all’art. 101, che “agli effetti della legge penale, sono considerati reati della stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo preveduti da disposizioni diverse del codice o da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinano, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni”.

Dalla disposizione si desume, che la medesimezza dell’indole è implicita nell’ipotesi di violazione della stessa disposizione di legge; quando si tratti di reati che violano disposizioni diverse, tra i reati stessi, considerati nella loro concretezza, dovranno intercorrere i caratteri fondamentali comuni. Tali note comuni vanno desunte da un confronto operato sotto un duplice aspetto:

– dal punto di vista della natura dei fatti che li costituiscono. In questo senso occorre accertare non un’omogeneità di astratte fattispecie legali, bensì una sostanziale omogeneità dei fatti concreti considerati nelle effettive modalità di realizzazione e nei risultati lesivi che e conseguono: una simile omogeneità in concreto ad es. sussiste tra la truffa e la frode in commercio o tra la diffamazione e l’ingiuria.

– La medesimezza dell’indole può poi essere ricavata dai motivi che determinarono la commissione dei reati: in questo senso bisogna verificare se alla base dei diversi fatti criminosi vi sia un’identica o analoga motivazione psicologica; si pensi ad es. ad un danneggiamento e ad un omicidio determinati dall’intento di realizzare una vendetta mafiosa.

  • La recidiva è reiterata se il nuovo delitto non colposo è commesso da chi è già recidivo. La riforma del 2005 ha irrigidito gli aumenti di pena per questa forma di recidiva: nel senso che l’aumento di pena è della metà ( e non fino a metà) nel caso di recidiva semplice; ed è di 2/3 (non fino a 2/3) se la precedente recidiva è aggravata o specifica o infraquinquiennale o si riferisce ad un delitto non colposo commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena stessa (art. 99 comma 4°).
  • La recidiva (reiterata) obbligatoria è una nuova figura di recidiva che si riferisce al soggetto recidivo che commette uno dei delitti indicati nell’art. 407, comma 2°, lett. a) c.p.p. . Tale innovazione è indubbia sotto diversi punti di vista; per la prima volta il catalogo di reati di cui all’art. 407 viene assunto a punto di riferimento per la disciplina di un istituto di diritto sostanziale quale la recidiva, senza una motivazione politico- criminale. Fino ad ora quel catalogo soddisfaceva esigenze processuali. x. L’ipotesi di recidiva obbligatoria non è poi limitata ai casi di reiterazione, ma include anche quelli di recidiva aggravata di cui al comma 2°, rispetto ai quali si stabilisce che la pena non può esser inferiore a 1/3 della pena da infliggere per il nuovo delitto (art. 99 comma 5°).

L’ultimo comma dell’art. 99 dispone, in chiusura di disciplina, che “ in nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo”.

Quanto agli effetti la recidiva comporta, oltre agli accennati aumenti di pena, ulteriori conseguenze giuridiche minori in rapporto all’amnistia, all’indulto, alla sospensione condizionale, alla estinzione della pena, al perdono giudiziale, alla riabilitazione …

A parte l’ipotesi di recidiva reiterata obbligatoria, l’applicazione della recidiva resta facoltativa, avendo il legislatore del 2005 ritenuto di non modificare sul punto le scelte fatte proprie dalla riforma del 1974, attribuendo al giudice un ampio potere discrezionale ai limiti dell’arbitrio giudiziale, perché la legge omette in realtà di indicare i criteri giuda dell’esercizio di tale potere. La Cassazione ha cercato di colmare questo vuoto, richiedendo tra i diversi reati una sorta di nesso personologico, tale per cui la ricaduta nel reato manifesti una stessa insensibilità etica all’obbligo di non violare la legge e una stessa attitudine a commettere in futuro nuovi reati …

L’innovazione introdotta con la novella del ’74 ha riproposto il problema della natura giuridica dell’istituto. Già in passato parte della dottrina aveva contestato la collocazione codicistica della recidiva tra le circostanze del reato, sul presupposto che sia difficile concepire come circostanza del fatto uno status personale del soggetto, derivante da una precedente condanna per un altro reato. Inoltre, la facoltatività della recidiva, tenderebbe a farla apparire come non una circostanza in senso tecnico, ma come una sorta di indice di commisurazione della pena analoga agli indici previsti all’art. 133.

Peraltro, dalla soluzione del problema dell’inquadramento sistematico derivano conseguenze importanti: se si ritiene che la recidiva integri una circostanza in senso tecnico, essa può essere assunta a giudizio di comparazione tra circostanze ex art. 69.

In quest’ultimo senso sembra orientata la giurisprudenza, la quale ritiene da un lato, obbligatoria la contestazione della recidiva in quanto circostanza e ammette il giudizio di comparazione, e dall’altro, limita la facoltatività al solo aumento di pena: tutti gli effetti giuridici minori in tema di libertà condizionale, riabilitazione … si produrrebbero invece, comunque , cioè anche nel caso in cui venga meno l’effetto principale dell’aggravamento sanzionatorio. Contro tale orientamento giurisprudenziale si appuntano le critiche di una parte della dottrina, la quale sottolinea come sia poco ragionevole ammettere che il giudice possa escludere l’effetto principale della recidiva e, nello stesso tempo, tenerne conto per gli effetti minori.

 

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