La legge 242/2016 concerne la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della cannabis sativa L, la quale può essere utilizzata per la commercializzazione di prodotti specificatamente indicati: non solo alimenti e cosmetici, ma anche per produrre la cosiddetta marijuana light purché abbia una concentrazione di THC [sigla del principio attivo] inferiore ad una certa soglia.

Si apre quindi un contrasto tra il Testo Unico che vieta la coltivazione della cannabis in ogni sua varietà e la commercializzazione dei prodotti da essa ottenuti, e la legge 242 che promuove la coltivazione e la filiera agroindustriale della cannabis sativa L.

Si è reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite che hanno stabilito che:

  • La legge 242 è volta a promuovere la coltivazione agroindustriale di canapa solo nelle varietà specificamente ammesse dalla legge stessa. La coltivazione è consentita senza necessità di autorizzazione, ma dalla stessa possono essere ottenuti esclusivamente i prodotti indicati dall’articolo 2 della legge 242
  • La commercializzazione di prodotti derivati della cannabis sativa L diversi da quelli espressamente indicati, integra il reato di cui all’art.73, anche se il contenuto del THC sia inferiore alle concentrazioni indicate dalla legge 242/2016.
  • Occorre però considerare anche la concreta offensività della condotta, nella verifica della reale efficacia drogante delle sostanze stupefacenti oggetto di cessione. Bisogna in sostanza verificare l’idoneità della sostanza a produrre, in concreto, l’effetto drogante, a prescindere dalla percentuale di THC.
  • Dunque il divieto di commercializzazione viene meno se la cosiddetta cannabis light sia in concreto priva di efficacia drogante: concetto, questo, non del tutto univoco nella giurisprudenza in materia di stupefacenti.
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