La storia della colpevolezza è storia anche della sua vitalità e imprescindibilità nonostante le diverse funzioni politico-sostanziali via via assunte in rapporto ai diversi scopi attribuiti alla pena, ossia:

  1. funzione fondante del potere punitivo, secondo la concezione retributiva, che ha segnato il primato della colpevolezza.
  2. funzione politico-garantista di limite al potere punitivo, alla misura della pena, secondo le dominanti concezioni secolarizzate utilitaristiche generalpreventive e specialpreventive.

La colpevolezza, comunque, come requisito del reato e come criterio di commisurazione della pena, viene recuperata non sulla base della prevenzione, ma nella sua funzione garantista di limite alle esigenze punitive (2), potenzialmente senza confine, quale salvaguardia degli antagonistici valori della persona umana contro ogni strumentalizzazione, per fini utilitaristici di politica criminale:

  • sia generalpreventivi, perché, essendo il soggetto chiamato a rispondere dei soli fatti rientranti sotto il suo controllo, essa ne salvaguarda la libertà di scelta delle azioni.
  • sia specialpreventivi, perché vieta di superare il limite massimo di pena corrispondente all’entità della colpevolezza.

Tale colpevolezza, quindi, viene intesa in modo diverso come elemento costitutivo del reato e come criterio di graduazione giudiziale della pena, equivalendo, a questo secondo fine, a fatto colpevole e, quindi, a categoria di sintesi di tutti gli elementi, rilevanti ai fini della gravità del fatto di reato.

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