Le cause che escludono o diminuiscono l’imputabilità (artt. 88 e ss.) appartengono a due species:

  • delle alterazioni patologiche, dovute ad infermità di mente o all’azione dell’alcool o di sostanze stupefacenti.
  • dell’immaturità fisiologica o parafisiologica, dipendenti rispettivamente dalla minore età e dal sordomutismo.

Le cause codificate di non imputabilità, tuttavia, non esauriscono le ipotesi di incapacità di intendere e di volere, che in base al nostro ordinamento escludono o attenuano la punibilità (es. cosiddett uomini lupo).

L’incapacità di intendere e di volere, comunque, può essere:

  1. procurata dallo stesso soggetto o da terzi.
  2. congenita, ossia dovuta a cause naturali.

Alcolismo e uso di stupefacenti sono fenomeni che hanno sempre interessato le scienze criminali, principalmente per la loro plurima potenzialità offensiva e criminogena. Nella lotta contro tali fenomeni, la nostra legge segue la duplice via della prevenzione (es. colpendo le attività che favoriscono le autointossicazioni voluttuarie, prevedendo a favore degli intossicati dei centri di cura) e della repressione (es. incriminando l’ubriachezza il luogo pubblico o aperto al pubblico (depenalizzato), incriminando la guida in stato di ebbrezza). Il codice, in particolare, considera l’intossicazione da alcool o da stupefacenti come status di chi commette il reato e, pertanto, come causa che può incidere sull’imputabilità.

Il legislatore del 1930, relativamente ai reati commessi sotto l’effetto di alcool o di stupefacenti, si è ispirato a criteri di notevole severità, sia allo scopo di combattere le piaghe sociali corrispondenti, sia per ragioni attinenti al prestigio del regime dell’epoca:

  • quanto all’alcolismo, esso distingue:
    • l’ubriachezza, la quale, a sua volta, si distingue in:
      • ubriachezza accidentale (incolpevole), derivata da caso fortuito o da forza maggiore. In conformità alle regole generali, l’art. 91 distingue a seconda che l’ubriachezza elimini o diminuisca la capacità di intendere e di volere: nel primo caso l’agente non è imputabile, mentre nel secondo fruisce di una diminuzione di pena.
      • ubriachezza volontaria o colposa: la prima si ha quando il soggetto si è ubriacato intenzionalmente o ha accettato il rischio di ubriacarsi, mentre la seconda si ha quando si è ubriacato per negligenza o imprudenza.

Mentre il Codice Zanardelli sanciva una diminuzione di pena, l’attuale art. 92 co. 1 dispone che questa ubriachezza, assai frequente, non esclude né diminuisce l’imputabilità. Se non lo si vuole ritenere incostituzionale, quindi, tale articolo deve essere interpretato secondo il principio della responsabilità personale (sia imputabilità sia colpevolezza), in modo tale che esso:

  • non costituisca alcuna fictio iuris di imputabilità, ma soltanto una deroga alla regola della capacità al momento del fatto, quando l’ubriachezza volontaria o colposa rientri nella colpevolezza per il fatto commesso.
  • si limiti soltanto ad affermare che tale ubriachezza lascia sussistere la piena imputabilità, senza implicare anche l’automatica colpevolezza per il fatto commesso.

In caso di ubriachezza piena l’agente risponde a titolo di dolo, se si è ubriacato nonostante la previsione della commissione del reato ed accettandone il rischio, oppure a titolo di colpa, se il reato, al momento in cui si ubriacò, fu da lui previsto ma non accettato o, comunque, era prevedibile ed evitabile come conseguenza dell’ubriachezza. In caso di ubriachezza parziale, invece, il soggetto risponde di reato doloso se, al momento della commissione del fatto, questo fu da lui previsto e voluto.

  • ubriachezza preordinata, ossia ricercata al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa (art. 92 co. 2). In questo caso non solo l’imputabilità non è esclusa né diminuita, ma si fa luogo anche ad un aumento di pena.
  • ubriachezza abituale: per l’art. 94 è ubriaco abituale chi, essendo dedito all’uso di bevande alcoliche, viene frequentemente a trovarsi in stato di ubriachezza. Oltre a non esclude e a non diminuire l’imputabilità, tale ubriachezza abituale comporta un aumento di pena, cui si aggiunge di regola una misura di sicurezza.

Anche la presente ipotesi va riportata nell’ambito del principio della responsabilità personale, negli stessi termini indicati per l’ubriachezza volontaria o colposa.

  • cronica intossicazione da alcool, che rappresenta lo stadio conclusivo dell’alcolismo. Nell’intossicazione cronica, infatti, i fenomeni tossici sono stabili, persistendo anche dopo l’eliminazione dell’alcool assunto, di conseguenza la capacità può essere permanentemente esclusa o grandemente scemata.

L’art. 95, quindi, data la forte correlazione, richiama lo stesso regime del vizio di mente totale o parziale, per cui l’intossicato è non punibile o punibile con pena ridotta a seconda che la capacità sia esclusa o grandemente scemata.

  • quanto all’azione degli stupefacenti, il codice la sottopone alla stessa disciplina prevista per le varie forme di alcolismo, distinguendo anche qui l’intossicazione accidentale, la volontaria o colposa, la preordinata, l’abituale e la cronica. Secondo l’attuale convinzione medica e psichiatrica, infatti, i problemi psicologici e sociali connessi all’abuso di alcool e di stupefacenti sono sostanzialmente simili, pertanto si ritiene che i problemi dell’imputabilità relativi all’uso degli stupefacenti vadano trattati analogamente a quelli relativi all’alcool.
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