La consuetudine consiste nella ripetizione generale, costante ed uniforme, di un comportamento nella convinzione di adempiere un obbligo o di esercitare un potere giuridico. Tale consuetudine genera una norma non scritta, la quale nasce nel momento in cui la ripetizione del comportamento ha raggiunto l’intensità necessaria e sufficiente a trasformare il fatto in norma giuridica.

Nel nostro ordinamento la consuetudine occupa l’ultimo posto nella gerarchia delle fonte, motivo per cui le è riconosciuta soltanto una funzione integratrice, non mai abrogatrice. Nel diritto penale, dominato dal principio della riserva di legge, a fortiori è relegata ai margini.

Le consuetudini, comunque, possono essere di cinque tipi:

  • consuetudine incriminatrice: viene negata ogni efficacia alla consuetudine praeter legem che, a danno della libertà del soggetto, crea reati, aggravanti o sanzioni, diversi da quelli previsti dalla legge.
  • consuetudine abrogatrice (desuetudine): viene negata ogni efficacia alla consuetudine che, operando contra legem a vantaggio del soggetto, abroghi norme incriminatrici o comunque pregiudizievoli per il soggetto.

Il problema dell’abrogazione per desuetudine (non per disapplicazione), concetto questo che presuppone la communis opinio della giurisprudenza, si pone concretamente nei periodi di crisi o di transizione (es. per le norme incriminatrici dello sciopero dopo la caduta del fascismo ma anteriormente alla Costituzione).

  • consuetudine scriminante: controverso è il problema se sia ammissibile una consuetudine derogatrice che, operando contra legem, crei nuovi tipi di scriminanti diversi da quelli previsti dalla legge penale.

Il problema della consuetudine scriminante va visto in rapporto alla ratio della riserva di legge e del principio di legalità:

  • per chi ritiene che tali principi tutelino esigenze di rigorosa certezza della norma penale, non può non negarsi efficacia pure alla consuetudine in bonam partem.
  • per chi ritiene che tali principi tutelino il favor libertatis, nulla si oppone ad ammettere la consuetudine in bonam partem.

Resta però da vedere se l’art. 25 abbia in materia di desuetudine attenuato o, non piuttosto, ribadito o superato la situazione preesistente, in cui la consuetudine contra legem era già esclusa e la dottrina al più ne limitava la legittimità alla sola consuetudine scriminante.

  • consuetudine integratrice: a tale consuetudine va riconosciuta efficacia, trattandosi di consuetudine secundum legem, perché integra disposizioni penali che rinviano a norme di rami del diritto di cui la consuetudine può essere fonte di diritto.
  • consuetudine interpretativa: la dottrina è concorde nel riconoscere efficacia a tale consuetudine che, essendo secundum legem, non opera in opposizione alla norma o oltre i limiti di essa, ma al suo interno, in quanto serve per determinare il significato di alcuni elementi della fattispecie e per adeguare la norma al divenire della mutevole realtà.
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