Sebbene tutti concordino sul carattere generalmente flessibile delle norme consuetudinarie, è però opinione comune che esista un gruppo di norme di diritto internazionale generale le quali eccezionalmente sarebbero cogenti (ius cogens):
- l’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, in particolare, stabilisce che è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, è in contrasto con una norma imperativa del diritto internazionale generale , dovendosi intendere per norma imperativa del diritto internazionale generale una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo insieme come norma alla quale non può essere apportata nessuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente il medesimo carattere ;
- l’art. 64 stabilisce che se una nuova norma imperativa di diritto internazionale generale si forma, qualsiasi trattato esistente che sia in contrasto con questa norma diviene nullo e si estingue.
 La Convenzione di Vienna parla di diritto cogente ma non indica assolutamente quale esso sia. A detta del Conforti, tuttavia, tale gruppo di norme va individuato facendosi leva sull’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, secondo il quale in caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai membri delle NU con il presente Statuto e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto. Il rispetto dei principi della Carta è considerato ormai come una delle regole fondamentali della vita di relazione internazionale. In questo senso, quindi, la regola della prevalenza degli obblighi derivanti dallo Statuto delle Nazioni Unite sugli altri obblighi internazionali finisce con l’apparire non più come una semplice disposizione pattizia, ma come una norma consuetudinaria cogente cui l’art. 103 ha dato la spinta iniziale. Le norme della Carta dalle quali discendano veri e propri obblighi per gli Stati, e che quindi possono farsi rientrare nella sfera di applicazione dell’art. 103 non sono molte:
- con riferimento al settore del mantenimento della pace ci riferiamo al principio che impone agli Stati di astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza nei rapporti internazionali (art. 2 n. 4), salva l’autotutela individuale e collettiva;
- con riferimento al settore economico e sociale ci riferiamo al principio che impegna gli Stati a collaborare in questo settore (art. 56), principio dal quale può ricavarsi il divieto di comportamenti che possano compromettere irrimediabilmente l’economia di altri Paesi e quindi ogni possibilità di collaborazione;
- con riferimento al settore umanitario ci riferiamo al principio del rispetto della dignitĂ umana (art. 1 par. 3);
- con riferimento al settore inerente la decolonizzazione ci riferiamo al principio dell’autodeterminazione dei popoli (art. 1 par. 2), principio che non ha assunto nella prassi il significato letteralmente corrispondente al nome, ma quello meno estero di condanna della soggezione di un popoli ad un Governo straniero.
Fintanto che si resta nell’ambito di principi così generali, è chiaro che le applicazioni dell’art. 103 sono scarse, essendo poco probabile, anche se non inverosimile, la formazione di accordi aventi palese carattere aggressivo o comunque autorizzanti l’uso della forza fuori dei casi di legittima difesa. Solo se dai principi generali si scende a norme che disciplinano fattispecie più circoscritte è possibile dare un senso di concretezza al discorso dell’art. 103. Gli obblighi rispetto ai quali la preminenza ai sensi dell’art. 103 sembra maggiormente suscettibile di applicazioni, quindi, sono quelli connessi al potere di decisione del Consiglio di sicurezza (es. saranno colpiti dall’art. 103 gli accordi commerciali conclusi con Paesi contro i quali il Consiglio di sicurezza abbia decretato sanzioni economiche).
 Sempre sul tema di rapporti tra consuetudini e accordi, occorre precisare che le norme che regolano le cause di invalidità e di estinzione dei trattati non possono essere derogate: il fatto che queste norme generali regolino la struttura dell’accordo e non il contenuto, infatti, le pone per forza su di un piano superiore, anche nel senso della forza formale del trattato.
 Rapporti tra atti delle organizzazioni internazionali e Statuti delle medesime
Per quanto riguarda gli atti delle organizzazioni internazionali, il problema dei limiti entro i quali essi possono derogare alle norme dei trattati che ne prevedono l’emanazione deve essere ovviamente risolto caso per caso: in ogni trattato di un’organizzazione internazionale possono trovarsi norme sia derogabile che cogenti.
 Rapporti tra atti delle organizzazioni internazionali e diritto consuetudinario
Circa i rapporti tra gli atti delle organizzazioni internazionali ed il diritto internazionale generale, sembra che la regola fondamentale secondo cui le norme convenzionali possono derogare al diritto consuetudinaria debba necessariamente estendersi alle fonti previste da accordi. Può però darsi che sia lo stesso Statuto dell’Organizzazione ad imporre agli organi l’osservanza del diritto internazionale generale.