Il mare come “res nullius”

L’idea del mare come oggetto di dominio si afferma con l’espansione della potenza romana nel Mediterraneo, considerato insieme centro geografico della repubblica e importante via di comunicazione fra i territori dell’impero. La concezione del mare come “res communis omnium” (dunque sottratto alla proprietà privata dei “cives”ed esclusivo oggetto della potestà di governo di Roma) continua, dopo la caduta dell’impero romano, nei regni Romano barbarici che si rifanno ai principi del diritto romano. Lo

E solo con l’espansione araba nel Mediterraneo che le pretese di dominio sul mare richiederanno il requisito della effettività, ossia la reale capacità di controllare gli spazi oggetto di dominio. In questa stessa prospettiva, più tardi, le repubbliche marinare e indicheranno i il dominio dei mari che esse percorrono in esclusiva. Secondo il Sarpi (giurista e teologo veneziano) il titolo di tale sovranità risiedeva nell’occupazione della res nullius quale era il mar Adriatico dopo la caduta dell’impero romano.

La pretesa di dominio sul mare non necessariamente si collegava alla volontà di impedire la navigazione di navi battenti bandiera diversa, ma piuttosto alla volontà di regolare unilateralmente tale attività e ricondurre le navi straniere alla propria giurisdizione. Lo la giustificazione all’esercizio di tale potere era per lo più di carattere funzionale, dovuta alla tutela del monopolio commerciale e alla repressione della pirateria.

Le teorie del “mare liberum” e del “mare clausum”

I protagonisti della controversia dalle dottrine del “mare clausum” e del “mare liberum” furono rispettivamente Selden e Grozio. Nonostante Selden fosse sostenitore della teoria del “mare clausum” , egli non espresse mai l’idea che lo Stato dominatore potesse interdire la navigazione nei mari oggetto di dominio, senza contravvenire allo jus peregrinandi.

Grozio lesse nel Digesto il principio della libertà dei mari, e mi trovò gli argomenti per sostenere l’appartenenza comune del mare a tutti i popoli, in quanto cosa inappropriata e inappropriabile e, come tale, patrimonio comune dell’umanità. In realtà il digesto si riferiva al mare come patrimonio dello Stato romano, ma Grozio riuscì ad estendere ugualmente il concetto a tutte le genti grazie ad una nuova interpretazione dello jus gentium come “diritto dei popoli”.

Verso la fine del XVII secolo la tesi di Grozio diviene regola generale del diritto internazionale, in contemporanea con l’affermazione della supremazia navale britannica. A tale supremazia si opposero con forza gli Stati costieri che cercavano di limitare (almeno negli spazi marini adiacenti le proprie coste) la libertà di azione delle grandi flotte marine. Nei confronti degli Stati costieri l’Inghilterra fu costretta, via via, ad accettare una serie di deroghe al principio della libertà dei mari che si tradussero col passare del tempo in vere e proprie consuetudini internazionali. Esempi di tali consuetudini furono, ad esempio, la neutralità marittima degli Stati costieri terzi al conflitto, che dev’essere rispettata dagli Stati belligeranti.

Del pari va ricondotta alla formazione di una consuetudine internazionale la prima affermazione del mare territoriale, corrispondente all’effettiva possibilità di controllo del mare adiacente.

Secondo il Bynkershoek tale controllo doveva, per essere effettivo, rispettare i due requisiti della possessio: possidere corpore – quindi navigare continuamente nello spazio marino – e animus dominandi – ossia la volontà di escludere altri dal medesimo spazio -. Il controllo del mare territoriale, da cui era escluso l’oceano, poteva essere ottenuto col ricorso alle artiglierie costiere e aveva carattere solo funzionale (e non spaziale).

Così accadde, ad esempio, per le regole sulla guerra marittima contenute, in particolar modo nella dichiarazione di Parigi del 1856. Questa vietava la guerra di corsa,ossia la guerra privata intrapresa da singoli armatori, incaricati di “predare” dal proprio sovrano. Riguardo al diritto di preda la dichiarazione stabilì la duplice regola per cui: 1- la bandiera neutrale e copre le merci nemiche sottraendole alla cattura e 2- la merce neutrale non è cattura abile e neppure se imbarcata su nave nemica. Inoltre stabiliva che il blocco navale (strumento di offesa con cui il belligerante impedisce l’accesso a un porto nemico) doveva essere effettivo.

Ancora, norme consuetudinarie, affermarono il diritto dello Stato belligerante di fermare le navi private in alto mare, per evitare che il nemico venisse rifornito di armi o munizioni.

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