La normale reazione contro l’illecito è l’autotutela, ossia il farsi giustizia da soli. Ciò che nel diritto interno è un fatto eccezionale, quindi, risulta essere la regola nell’ambito del diritto internazionale, dove manca un sistema accentrato di garanzia dell’attuazione delle norme. Le Nazioni Unite non sono riuscite a modificare tale situazione, restando definitivamente confermata l’opinione circa la scarsa efficienza dei mezzi internazionali di attuazione coattiva del diritto.
A partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, si è fatta strada l’opinione secondo cui l’autotutela non deve concretarsi nella minaccia o nell’uso della forza, comportamenti vietati dall’art. 2 par. 4 della Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale consuetudinario. Il principio di ius cogens che vieta il ricorso alla forza trova un’eccezione nella legittima difesa: l’art. 51 della Carta, infatti, riconosce il diritto naturale alla legittima difesa individuale e collettiva nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite. Ci si chiede se il divieto dell’uso della forza abbia altre eccezioni oltre a quella prevista dall’art. 51 della Carta. I vari tentativi che sono stati fatti per dare una risposta affermativa possono ricondursi a due filoni:
- uso della forza per scopi umanitari: alcuni sostengono che gli interventi armati siano ammissibili per proteggere la vita dei propri cittadini all’estero (es. intervento anglo francese in Egitto nel 1956), per ridurre alla ragione Stati che compiano violazioni gravi dei diritti umani nei confronti dei loro stessi cittadini (es. intervento in Kosovo) o per intervenire contro Stati antidemocratici che praticano il contrabbando di droga (es. invasione di Panama da parte degli Stati Uniti del 1989);
- legittima difesa non prevista dalla Carta: altri estendono la categoria della legittima difesa individuale e collettiva ad ipotesi chiaramente non previste dall’art. 51 della Carta. (es. uso della forza in via preventiva secondo la c.d. dottrina Bush). L’estensione dei casi di legittima difesa a tali circostanze, tuttavia, risulta essere null’altro che un espediente per giustificare un illegittimo uso della forza.
 Secondo il Conforti quando si è in presenza di una vera e propria guerra, occorre prendere atto che il diritto internazionale ha esaurito la sua funzione. La Carta delle NU ha cercato di mettere la guerra fuori legge, ma purtroppo una certa incoerenza permane, dal momento che essa resta un rimedio contro comportamenti giudicati non altrimenti eliminabili (guerra come extrema ratio). Deve tuttavia tenersi presente che quando la guerra è scatenata entra in vigore tutto un corpo di regole, lo ius in bello, contrapposto allo ius ad bellum, ossia al diritto all’utilizzo della forza militare. Lo ius in bello è costituito da norme che tendono, nei limiti in cui ci riescono, a mitigare le asprezze della lotta tra belligeranti, a proteggere le popolazioni civili, a tutelare i Paesi estranei al conflitto e ad imporre la punizione dei crimini di guerra (es. Convenzione dell’Aja).
 Occorre domandarsi che cosa significhi esattamente il divieto dell’uso della forza, quale sia in altri termini la forza normalmente vietata. Al riguardo occorre tener presente la distinzione operata tra:
- forza internazionale (vietata), che consiste nell’impiego della forza da parte dello Stato contro comunità o mezzi di altri Stati fuori del suo territorio o degli spazi sottoposti alla sua sovranità ;
- forza interna (non vietata), che consiste nell’impiego della forza da parte dello Stato nei limiti del suo territorio e degli altri spazi soggetti alla sua sovranità , sempre che questa non abbia come oggetto dei mezzi bellici che si trovino sul suo territorio con la sua autorizzazione.