La PA non ha soltanto la capacità dia determinare essa stessa le regole particolari del proprio agire (autonomia) e la capacità di agire nel proprio interesse modificando unilateralmente le posizioni giuridiche dei cittadini (autarchia) ma altresì la capacità di provvedere essa stessa a risolvere i conflitti insorgenti con gli altri soggetti per effetto dei propri provvedimenti.

I provvedimenti della PA non sempre sono validi o non sempre sono considerati validi dai soggetti nella cui sfera giuridica essi incidono. Talvolta poi i destinatari dei provvedimenti amministrativi non vi prestano obbedienza. In questi casi allora si crea un conflitto tra la Pubblica Amministrazione e il soggetto interessato al suo provvedimento; il quale è conflitto da impugnazione quando si contesta il provvedimento affermandone l’invalidità; mentre quando l’interessato si oppone alla sua attuazione si è in presenza di un conflitto da resistenza: vi è cioè un comportamento e non soltanto un’affermazione dell’interessato che contrasta con la pretesa dell’amministrazione.

In tali ipotesi la Pubblica Amministrazione ha la capacità di risolvere da sola il conflitto senza ricorrere alla sentenza di un giudice e ciò sia rimuovendo l’atto impugnato sia portandolo ad esecuzione coattivamente.

Essa può prevenire l’insorgere del conflitto da impugnazione in quanto, se riconosca che l’atto è invalido, essa può rinunciarvi ritirandolo dal mondo giuridico (autoimpugnativa); risolvendo anche in tal caso un conflitto: solo che anziché essere un conflitto già in atto (attuale) è soltanto un conflitto in potenza (potenziale).

Questa capacità si chiama autotutela e permette di risolvere sia conflitti da impugnativa, sia conflitti da resistenza.

È ovvio che la Pubblica Amministrazione nell’esercizio dell’autotutela non può agire arbitrariamente.

L’autotutela non è uno strumento di sopraffazione ma uno strumento di giustizia. Essa può dunque essere esercitata solo nell’ambito del diritto obiettivo violato.

L’esercizio di autotutela persegue fini di giustizia.

L’autonomia pur essendo esplicazione di attività amministrativa, ha peraltro come contenuto materiale delle proposizioni che hanno la struttura tipica delle norme; e l’autarchia a sua volta è esercizio tipico dell’attività esecutiva trattandosi di attuazione dei precetti.

L’autotutela pur restando esercizio di attività esecutiva realizza quella faccia del potere esecutivo che si può chiamare sanzionatorio o giustiziale. Certamente non esercizio di quella parte della norma che si denomina sanzione e che è l’affermazione della giuridicità del precetto, la cui attuazione spetta esclusivamente al potere giurisdizionale.

Qui la sanzione non è affermazione della giuridicità del precetto ma della legittimità della corrispondenza ad esso della sua attuazione sia sotto il profilo della legittimità che sotto il profilo dell’opportunità.

L’autotutela è quella parte di esecuzione del precetto che consiste nella ricerca della validità dell’operare della Pubblica Amministrazione e si può affermare che l’esplicazione dell’autotutela è fondamentalmente esercizio di un puro potere esecutivo ma, come l’autonomia è il potere esecutivo nelle sue espressioni autosanzionatorie allo scopo di consentire il massimo possibile di autoadeguamento dell’attività amministrativa al precetto di cui è attuazione.

L’autotutela si manifesta in provvedimenti amministrativi che essendo diversi dagli atti di autonomia e autarchia vengono denominati DECISIONI in quanto permettono di decidere un conflitto tra l’amministrazione e il destinatario del provvedimento.

Le decisioni sono atti di funzione materialmente giustiziale quando si consideri che esse sono intese alla restaurazione del diritto obbiettivo violato.

È evidente che l’efficacia sostanziale di questi atti non è quella delle sentenze: non bisogna dimenticare che la funzione giurisdizionale si distingue da quella esecutiva in quanto gli atti della prima soddisfano l’interesse dei singoli che si trovano in conflitto fra loro onde essi modificano solo le posizioni dei destinatari e non anche quelle dell’autore dell’atto; mentre gli atti della seconda sono diretti a soddisfare l’interesse dell’autorità agente, quello dei singoli è considerato come un interresse secondario il cui soddisfacimento è coordinato al soddisfacimento dell’altro primario.

La giurisprudenza richiede per la validità degli atti di autotutela che essi siano motivati con la sussistenza oltre che del vizio rilevato, anche di un interesse pubblico attuale alla rimozione dell’atto viziato.

Con gli atti di autotutela la Pubblica Amministrazione non persegue primariamente un interesse obbiettivo di pura restaurazione del diritto violato ma persegue primariamente l’interesse pubblico di cui è titolare, usando la previsione del diritto obbiettivo (e quindi della risoluzione dei conflitti) come di un mezzo per la soddisfazione di quell’interesse particolare e non come un9o scopo principale.

Occorre riconoscere che i provvedimenti di autotutela non lasciano indifferente il loro autore ma ogni decisione modifica insieme la posizione giuridica del destinatario e quella

Dell’autore dell’atto.

Occorre riconoscere che nel momento attuale seppure la Pubblica Amministrazione giuridicamente si avvalga dell’autotutela per il perseguimento primario dei suoi fini particolari e pertanto con atti che sono esercizio di funzione sostanzialmente esecutiva e non giurisdizionale, tuttavia, tenendo conto che in essi l’attuazione delle norme giuridiche nel caso concreto assume un profilo di particolare obbiettività, sembra giustificato dire che le decisioni sono esercizio di una funzione materiale giustiziale, sia fare ad esse un posto a parte nella considerazione dei provvedimenti amministrativi.

Mentre la legge escute l’applicazione delle norme sul procedimento amministrativo all’autonomia, essa non le escute per l’esercizio dell’autotutela. Tuttavia deve essere chiarito che diversa è la posizione del cittadino quando il procedimento riguarda l’esercizio dell’autarchia e quando riguarda l’esercizio dell’autotutela.

Nel primo caso il cittadino è un coamministrante ed è quindi un cointeressato che esercita la funzione esecutiva assieme all’amministrazione; nel caso dell’autotutela, benchè si possa dire che anche l’esercizio dell’autotutela interessa il singolo perché anch’egli non può ritenersi sottratto all’osservanza delle norme, tuttavia egli è piuttosto un controinteressato in quanto è ovvio che il suo interesse sia piuttosto quello di conservare le posizioni giuridiche garantitegli dai provvedimenti piuttosto che di farli venir meno.

La legge prevedere che quando per sopravenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, rimane l’obbligo di prevedere un indennizzo per gli eventuali pregiudizi, mentre niente di simile è previsto per i casi di adozione di decisioni dove il procedimento non sia finito con un accordo.

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