Quando il diritto internazionale interferisce in materie che in Italia formano oggetto di legislazione regionale si pone il problema del coordinamento tra norme regionali da un lato e norme internazionali e norme statali di adattamento dall’altro.

La maggioranza della dottrina è sostanzialmente concorde nel ritenere che ad immettere il diritto internazionale nel nostro ordinamento deve essere il potere centrale. Tale opinione trova conferma espressa nella Costituzione per quanto riguarda il diritto consuetudinario, dato che a procedere in questo caso all’adattamento è addirittura una norma costituzionale, l’art. 10 co. 1. Il quadro non sembra essere mutato neanche per effetto della l. cost. n. 3 del 2001, modificativa del Titolo V della Costituzione. L’art. 3 di tale legge prevede che le Regioni, nelle materie di loro competenza, provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza : le Regioni hanno il diritto di esercitare autonomamente le competenze in materia di esecuzione delle norme comunitarie e internazionali, ma possono usufruire di tale diritto solo quando queste siano state formalmente introdotte nell’ordinamento interno.

Il problema del coordinamento tra la legislazione regionale e quella statale nelle materie regolate dal diritto internazionale, quindi, risulta essere successivo all’immissione di quest’ultimo nel diritto interno. Esso consiste allora nel chiedersi quali limiti derivino alla potestà legislativa regionale alla presenza nell’ordinamento italiano di norme di origine internazionale che interferiscono in settori di competenza regionale. Un principio che può dirsi pacifico è quello del rispetto da parte delle Regioni degli obblighi internazionali, principio questo espressamente sancito in taluni Statuti regionali e nella stessa l. cost. n. 3 del 2001, che obbliga il legislatore regionale al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali.

Occorre a questo punto chiedersi se, a parte la competenza esclusiva dello Stato a decidere se obblighi internazionali debbano essere assunti ed eseguiti, sussistano ulteriori limiti alla normale potestà legislativa delle Regioni. La prassi, tuttavia, non ha mai dato una risposta soddisfacente:

  • agli inizi degli anni Settanta, sia il legislatore sia la Corte costituzionale partirono da posizioni di assoluta ed inammissibile compressione delle competenze regionali. Essi, in particolare, muovevano dall’idea che tutto ciò che riguardasse l’applicazione del diritto internazionale e del diritto comunitario (affari esteri) fosse di esclusiva competenza dello Stato. Secondo la Corte, le Regioni avrebbero potuto essere ammesse a partecipare all’attuazione e specificazione del diritto internazionale o comunitario solo mediante strumenti (es. delega da parte degli organi centrali) che comunque garantissero la facoltà di controllo e di sostituzione;
  • la posizione della Corte si è poi andata modificando. Essa ha quindi finito col riconoscere la competenza autonoma ed originaria delle Regioni a partecipare, per le materie rientranti nelle loro attribuzioni, all’attuazione del diritto internazionale o comunitario direttamente applicabile. La Corte, tuttavia, ha continuato a fondarsi sul limite del rispetto degli obblighi internazionali e comunitari per dedurne il potere dello Stato di sostituirsi alle Regioni. Alla prassi finora descritta fanno sostanzialmente da eco le disposizioni della l. cost. del 2001:
    • l’art. 3 demanda alla legge dello Stato il compito di disciplinare le modalità del potere sostitutivo in caso di inadempienza delle Regioni;
    • l’art. 6 co. 1 specifica che il potere sostitutivo del Governo si esercita nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria (unica ipotesi giustificabile a detta del Conforti), oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica.
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