Nel quadro dell’ideologia dello Stato sociale che s’impegna a soddisfare una serie di bisogni non solo di tipo materiale, ma anche di tipo spirituale, in particolare perciò attinenti alla cultura, trova un posto centrale il soddisfacimento del bisogno di istruzione.

Molte famiglie possono desiderare che, nel quadro di questo progetto educativo, i loro figli possano ricevere anche un’istruzione religiosa; una istruzione religiosa è stata impartita nella scuola, e la Chiesa ne fatto sempre un punto irrinunciabile delle sue richieste al potere politico.

Il problema è se se ne possa fare carico, ed a quali condizioni, il potere politico di un ordinamento democratico.

Per soddisfare la domanda religiosa rispettando il valore essenziale della laicità dello Stato, occorrerebbe trovare modalità di erogazione del servizio religioso che esprimano una netta distinzione fra servizio scolastico direttamente reso dallo Stato e servizio religioso reso da organismi ad esso doverosamente estranei.

Per rispondere alla domanda di istruzione religiosa cattolica, viene mantenuto il modello consistente nell’incorporare direttamente l’organizzazione confessionale cattolica nell’organizzazione amministrativa statale.

L’improponibilità del fondamento dell’insegnamento della religione cattolica nella libertà religiosa ha reso accorto il legislatore, che ha preferito richiamarsi ad una più generica e meno confutabile “importanza della cultura religiosa”.

In quanto elemento della cultura la religione potrebbe essere considerata solo per la sua idoneità allo sviluppo di valori umanistici e quindi universalmente accettabili, non già come strumento di comunicazione controllata di uno specifico messaggio religioso.

Sulla base del valore che va riconosciuto alla “cultura religiosa”, nonché del dato per cui “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano”, l’art. 9 n. 2 del nuovo Accordo garantisce l’insegnamento della religione cattolica “nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”. E l’art. 5 lett. a) del Protocollo addiz. all’Accordo del 1984 stabilisce che l’insegnamento della religione cattolica è impartito “in conformità alla dottrina della Chiesa” e “da insegnanti che siano riconosciuti idonei all’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica”.

Gli insegnanti di religione sono considerati come “incaricati a tempo indeterminato”, i quali “una volta nominati o assunti in servizio, si intendono automaticamente confermati negli anni successivi, salvo nuova intesa o revoca da parte dell’ordinario diocesano”.

Questo provvedimento comporta quindi, per il Preside, l’obbligo di procedere alla revoca dell’incarico, revoca che rappresenta un “atto dovuto”.

Con un solo limite, e cioè che questo revoca assume il carattere di attività dovuta solo se avviene a fine d’anno scolastico; ché se interviene nel corso dell’anno scolastico, essa è legittima solo se motivata con “idonee ragioni di pubblico interesse prevalenti rispetto alla posizione soggettiva dell’insegnante ed alle esigenze di continuità didattica”. Gli insegnanti di religione appaiono inevitabilmente esclusi dalle garanzie di sicurezza e di stabilità che sono deducibili da valori costituzionali.

 

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