Normalmente la scelta religiosa coincide con l’ingresso e la conseguente appartenenza ad un gruppo religioso; problemi invece ci sono per quanto riguarda il recesso del singolo dal gruppo stesso.

a) Il diritto di recesso. È questo un caso in cui la libertà religiosa, in questo suo particolare aspetto, va difesa non già contro i poteri pubblici, bensì contro il potere privato rappresentato dallo stesso gruppo di appartenenza. È noto che le grandi religioni monoteiste considerano l’abbandono della religione vera come un gravissimo delitto. Ad esempio, i Paesi che si conformano al diritto confessionale islamico prevedono nella loro legislazione il reato di apostasia, che comprende non solo l’abbandono della religione islamica, ma anche “la derisione, con parole o atti, di un profeta, di un messaggero, di un angelo o del Corano”. L’ordinamento ha in talcoso il compito di tutelare il singolo contro quello che appare come un abuso di potere del gruppo religioso.

b) Il passaggio da un credo religioso ad un altro. Nella nostra cultura non può trovare accoglimento una visione colpevolizzante del cambiamento di religione, neppure nella più ridotta dimensione di colpa sociale per farne scaturire delle responsabilità nella vita di relazione.

Spesso, infatti, l’opera di convincimento svolta dai nuovi movimenti religiosi ha come risultato che il soggetto destinatario dia al gruppo un’adesione che comporta un coinvolgimento totale, che induce il soggetto stesso a troncare nettamente le occupazioni della vita quotidiana e le relazioni legate al suo status.

Si comprende che una svolta così radicale possa avere un effetto traumatico rispetto alle attese della famiglia.

Sono ormai noti a tutti i casi di famiglie americane che si affidano a veri e propri professionisti – i c.d. deprogrammatori – i quali dietro congruo pagamento rapiscono sostanzialmente i figli – non importa se minorenni o maggiorenni – che hanno aderito radicalmente al gruppo religioso seguendolo nel suo stabilirsi in un certo luogo, e li restituiscono alla famiglia dopo aver condotto nei loro confronti una sorta di contro-lavaggio del cervello.

L’assoluzione dei deprogrammatori sarebbe accettabile solo se fosse acquisita la dimostrazione sicura circa la illiceità della tecnica adoperata dal gruppo religioso per convincere il giovane ad abbandonare la famiglia per seguire il gruppo stesso.

In mancanza di una dimostrazione del genere, il comportamento dei parenti non solo è particolarmente lesivo della libertà religiosa del figlio, ma configura pure tutta una serie di reati, dal sequestro di persona alla violenza privata.

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