L’indeterminatezza semantica dell’art. 40 ha rimesso necessariamente nella sfera dell’interprete l’onere di stabilire chi sia il titolare del diritto di sciopero. Occorre premettere che la direttrice sulla quale il dibattito si è sviluppato ha assunto come scontata l’inerenza dello sciopero alla sola area del lavoro subordinato, discutendosi poi se all’interno di tale area il diritto spetti al soggetto individuale o a quello collettivo/ sindacale. La certezza dell’equazione sciopero-lavoro subordinato, tuttavia, è venuta meno a partire dalla decisione della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della norma (art. 506 c.p.) incriminatrice della serrata posta in essere dagli esercenti di industrie e commerci privi di lavoratori alle proprie dipendenze. La sospensione dell’attività di tali soggetti, infatti, doveva qualificarsi come sciopero. Da tale sentenza è derivata una tendenza espansiva, che ha condotto la Cassazione a riconoscere la titolarità del diritto di sciopero anche ai lavoratori subordinati, ma alla quale la Corte costituzionale ha successivamente posto un freno.

Sulla complessa questione della titolarità del diritto di sciopero, comunque, si sono disputate il campo diverse tesi:

  • la teoria secondo la quale titolare del diritto di sciopero doveva essere ritenuto, non il singolo lavoratore, ma l’associazione sindacale. Si riteneva, cioè, che il potere di proteggere gli interessi della collettività dei lavoratori attraverso il conflitto non potesse che essere riconosciuto al medesimo soggetto cui era affidata la tutela di tali interessi.
  • la teoria secondo la quale il sindacato era ritenuto il contitolare del diritto di sciopero assieme al lavoratore, con la conseguenza di reputare necessaria, ai fini della configurazione giuridica dello sciopero, la proclamazione da parte del sindacato.
  • la teoria, che ha poi prevalso, secondo la quale titolare del diritto di sciopero deve ritenersi ciascun singolo lavoratore. Tale tesi, tuttavia, è stata integrata con la precisazione che il diritto di sciopero può essere esercitato dal singolo soggetto soltanto assieme ad altri lavoratori, non essendo ammissibile lo sciopero individuale .

Lo sciopero, in altre parole, è stato configurato come un diritto individuale, ma ad esercizio necessariamente collettivo.

La principale implicazione di tale terza teoria è quella di estromettere il ruolo dell’associazione sindacale dalla fattispecie giuridica dello sciopero, il quale, infatti, può essere proclamato, o più semplicemente attuato, anche da coalizioni occasionali di lavoratori, al limite, nel dissenso dei sindacati. La tesi della titolarità individuale si è definitivamente imposta negli anni ’70, allorché se ne è apprezzata la valenza liberale e democratica. A fronte di tale vantaggio, tuttavia, l’inconveniente di tale tesi consiste nell’impedire qualsiasi forma di governo del conflitto nell’ambito del sistema di relazioni industriali. Se il diritto appartiene a ciascun lavoratore, infatti, eventuali clausole contrattuali con le quali, ad esempio, l’associazione sindacale si impegni a non ricorrere allo sciopero, non incidono sulla sfera giuridica dei singoli.

La sottrazione dello sciopero alla possibilità di governo da parte del sindacato è all’origine dei ricorrenti ritorni dottrinali sulla tesi della titolarità, al contrario, collettivo-sindacale del diritto di sciopero. Il principale di questi ritorni di fiamma è stato occasionato dall’emanazione della legge n. 146 del 1990, la quale ha conferito alle organizzazioni sindacali il potere di stipulare accordi collettivi rivolti a individuare le prestazioni indispensabili da garantire in ogni caso di sciopero. Una parte della dottrina ha tratto spunto da tale legge per riproporre, in qualche modo, la tesi della titolarità sindacale , ma ciò con scarso successo.

Una pur provvisoria conclusione deve muovere dal riconoscimento della sintonia esistente fra l’art. 39 co. 1 e l’art. 40: la garanzia insiste nella sfera giuridica di ciascun singolo lavoratore, pur proiettandosi nella dimensione dell’organizzazione collettiva. L’implicito presupposto della tesi della titolarità individuale, infatti, è che un ordinamento che garantisce la libertà sindacale non soltanto all’ associazione , ma anche all’entità più ampia dell’ organizzazione , non può non riservare il diritto al conflitto a ciascun lavoratore, pur incalzandone l’esercizio sul terreno della coalizione. Ove la dottrina ha detto individuale, quindi, ha in genere inteso dire non sindacale .

Rispetto a tale impostazione tradizionale, l’unica alternativa teorica praticabile è quella di portare alle estreme conseguenze il parallelo fra l’art. 39 co. 1 e l’art. 40, riconoscendo la titolarità del diritto di sciopero direttamente all’ organizzazione sindacale. In tal modo, lo sciopero diverrebbe un diritto a titolarità collettiva (non sindacale), ed esercizio individuale

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