Tra contratto nazionale e contratto aziendale non esiste un rapporto gerarchico, come contratto collettivo e contratto individuale, ma un rapporto di pari-ordinazione perché non esiste una norma di legge che regola i rapporti tra i due livelli contrattuali.

Il contratto collettivo deve essere interpretato applicando i criteri in materia di interpretazione del contratto nella sequenza indicata dal codice e non quelli stabiliti dall’art.12 delle Preleggi.

Si deve tener conto però della struttura e della funzione normativa del contratto collettivo, nonché della diversa fase di formazione rispetto agli altri contratti:

  • Le clausole normative, al pari delle norme di legge, contengono precetti generali ed astratti, diretti a destinatari diversi dai suoi autori.
  • Le peculiarità della fase di formazione rendono problematica la ricostruzione della comune volontà delle parti. Ad esempio, alla formula di una clausola contrattuale che pure rimanga inalterata può essere attribuito dalle parti un significato diverso da quello originario a seguito delle modifiche dell’ambiente sociale e del contesto sindacale in cui si inserisce il rinnovo contrattuale.

B2) Gli unici parametri di riferimento per accertare la comune intenzione delle parti sono il testo contrattuale e le note a verbale. E quindi non si può negare che la formazione del contratto collettivo attenui sensibilmente il ricorso al criterio soggettivo della ricerca della volontà delle parti e valorizzi, per contro, il ricorso all’interpretazione letterale delle clausole del contratto collettivo. Proprio tale criterio, secondo la Cassazione, costituisce il mezzo prioritario e fondamentale per la corretta ricostruzione della comune intenzione delle parti, laddove il significato letterale delle parole, secondo la loro connessione, si presenti esaustivo nel disvelare l’effettiva volontà dei contraenti. In caso contrario, l’interprete dovrà tenere in considerazione il comportamento successivo delle parti nell’applicazione della clausola stessa, e fare ricorso ai criteri ermeneutici di cui agli articoli 1362 e seguenti del codice civile.

  • Il contratto collettivo non può essere interpretato analogicamente: l’art.13 delle preleggi, infatti, vieta l’applicazione analogica dei contratti corporativi, e quindi dei contratti collettivi di diritto comune.

 

Una nuova stagione del contratto collettivo?

Il contratto collettivo nell’esperienza sindacale italiana sta vivendo una nuova stagione che dalla rigogliosa affermazione della sua natura privatistica sembra condurlo nel novero delle fonti, per la sua mai sopita vocazione ad avere un’efficacia generale, addirittura espressamente riconosciuta oggi ai contratti aziendali (art. 8 decreto 138/2011).

Potrebbero deporre in questo senso i rinvii sempre più frequenti della legge alla contrattazione collettiva. Tali rinvii costituiscono un corpus normativo in cui fonte legale e fonte negoziale si intrecciano così strettamente che non solo la funzione della legge viene delegata al contratto collettivo, ma quest’ultimo sempre più spesso può addirittura derogare alla disciplina generale.

Il contratto collettivo resta inserito nell’ordinamento statuale attraverso il principio della libertà sindacale, e può essere elevato al rango di fonte in senso tecnico se interviene il legislatore come prescrive anche l’art.39 Cost; tuttavia, in assenza di un intervento legislativo, il contratto conserva la sua natura originaria di atto di autonomia collettiva, o eventualmente di fonte extra ordinem se sorretto dal consenso unanime o largamente prevalente dei sindacati comparativamente più rappresentativi.

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