Categoria ed affiliazione. Per l’individuazione del contratto collettivo di categoria la giurisprudenza faceva riferimento, nel passato, all’art. 2070 cc., secondo il quale doveva applicarsi il contratto collettivo della categoria relativa all’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore.
Una tale tesi è stata gradualmente abbandonata dalla stessa giurisprudenza non soltanto perché l’art. 2070 cc. si riferisce ai contratti collettivi corporativi ma perché non è sufficiente l’individuazione della categoria cui il contratto si riferisce, ma occorre che il datare sia iscritto all’associazione sindacale che ha stipulato il contratto, il quale definisce il proprio campo di applicazione; ma al criterio della categoria relativa all’attività svolta dal datore si aggiunge quello dell’affiliazione sindacale dello stesso datore.
Estensione agli addetti alle attività accessorie. Il contratto collettivo della categoria relativa all’attività principale esercitata dall’imprenditore si applica anche ai lavoratori addetti ad attività accessorie, che non siano tuttavia autonome rispetto a quella principale.
Necessità di plurima iscrizione nel caso di più attività autonome. Nel caso in cui il datore eserciti più di un’attività, ciascuna autonoma e differenziata rispetto alle altre si applicherebbero ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività; nel sistema attuale per questo occorre altresì che lo stesso sia iscritto non soltanto ad una ma alle più associazioni che abbiano stipulato i contratti collettivi delle singole categorie. Nel caso in cui l’imprenditore sia iscritto soltanto ad un’associazione, per i lavoratori adibiti alle altre attività relative a diversa categoria professionale verrebbe a crearsi una situazione di carenza di contratto collettivo, come in tutte le altre ipotesi di mancata affiliazione sindacale del datore.
Il problema dei criteri interpretativi. Individuato il contratto collettivo, si tratta di stabilire quali siano i criteri ermeneutici da adottare per l’interpretazione della parte normativa dello stesso facendo ricorso agli artt. 1362 ss. cc., che fissano i criteri per l’interpretazione dei contratti, escludendosi che siano applicabili i criteri sanciti dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale. I criteri fissati dagli artt. 1362 ss. cc. si applicano più nella loro qualità di principi generali che come regole d’interpretazione dei contratti; occorre tener conto soprattutto dei criteri rivolti ad individuare la volontà oggettiva, come la buona fede, gli usi interpretativi, la valutazione delle clausole nel sistema complessivo del contratto. Assume rilevanza anche il comportamento delle parti sia antecedente che successivo alla stipulazione del contratto. Come comportamento antecedente alla stipulazione del contratto assumono importanza i diversi incontri tra le parti sociali, normalmente verbalizzati; incontri che spesso avvengono con la partecipazione anche del governo o dei pubblici poteri a livello periferico.
Nei contratti collettivi sono a volte presenti le note a verbale con le quali le parti precisano il significato che dovrebbe essere attribuito ad una determinata clausola, dando luogo, però, spesso a problemi interpretativi più complessi.
I principi della parità di trattamento e del lavoro. La giurisprudenza ha affermato la rilevanza, nell’interpretazione della parte normativa del contratto collettivo del principio della parità di trattamento; a tale principio può aggiungersi anche quello, che trova fondamento nell’art. 35 co. 1 cost., del maggior favore per lavoratore nel caso in cui l’applicazione dei diversi criteri ermeneutici non elimina lo stato d’incertezza.
L’interpretazione del contratto collettivo rientra nella competenza del giudice di merito, con ammissibilità del ricorso in cassazione soltanto per violazione o falsa applicazione delle norme legali di ermeneutica e per difetto di motivazione.