La Costituzione prevede che “la durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge”. Il decreto legislativo 66 del 2003 non stabilisce direttamente tale limite di durata. Il limite, però, è ricavabile indirettamente dalla disposizione che prevede un riposo minimo giornaliero di almeno 11 ore. Sono, inoltre, direttamente stabiliti sia l’orario settimanale normale, pari a 40 ore, sia l’orario settimanale massimo, pari a 48 ore. La legge, però, introduce un importante elemento di flessibilità organizzativa, stabilendo che entrambi tali limiti possono essere riferiti alla media dell’orario svolto in periodi plurisettimanali.

In particolare, per quanto riguarda l’orario normale, è demandata ai contratti collettivi la possibilità di calcolarlo facendo riferimento alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno. Ai fini del rispetto dell’orario massimo, invece, la legge stessa prevede che la durata delle prestazioni deve essere calcolata con riferimento ad un periodo non superiore a 4 mesi. Orario di lavoro è da intendersi “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio delle sue attività e funzioni”.

Si tratta, dunque, di una nozione notevolmente ampia, tale da ricomprendere anche periodi in cui il lavoratore non sia concretamente impegnato nello svolgimento di una attività lavorativa, ma sia ciò nonostante obbligato a rimanere sul luogo di lavoro a disposizione del datore di lavoro. Sono, coerentemente, esclusi i riposi intermedi, le pause, il tempo occorrente per recarsi al lavoro. La contrattazione collettiva può prevedere lo svolgimento di lavoro straordinario, e, in tal caso, il lavoratore è obbligato a prestarlo.

In mancanza di disciplina sindacale, il lavoro straordinario non può superare il tetto di 250 ore l’anno ed è, comunque, richiesto il consenso del lavoratore. Stante la maggiore penosità marginale delle ore di lavoro svolto oltre l’orario normale, il lavoro straordinario deve essere computato a parte e compensato con la maggiorazione retributiva prevista da contratti collettivi.

I contratti collettivi possono anche prevedere, in aggiunta o in alternativa a tali maggiorazioni, la fruizione di riposi compensativi, e, in tale ipotesi, le ore di lavoro straordinario non sono computate ai fini della durata massima. La disciplina vigente, pur affermando che in linea di principio il lavoro straordinario “deve essere contenuto”, non prevede più norme disincentivanti, ma, anzi, l0 favorisce, riducendo l’imposizione fiscale della retribuzione volta a compensarlo.

Tra le modalità temporali di svolgimento della prestazione, annoveriamo il lavoro notturno, ossia il lavoro svolto in un periodo di almeno 7 ore consecutive che ricomprenda le ore dalle 24 alle 5. È, quindi, previsto, anzitutto, che, tramite le competenti strutture sanitarie, possa essere accertata l’inidoneità al lavoro notturno, ponendo a carico del datore di lavoro l’obbligo di provvedere alla valutazione dello stato di salute del lavoratore, attraverso controlli preventivi e periodici.

Ove venga accertata l’inidoneità, il lavoratore ha diritto di essere assegnato al lavoro diurno, “in altre mansioni equivalenti, se esistenti o disponibili”. Non sono obbligati a svolgere lavoro notturno: la madre di un figlio di età inferiore a 3 anni o, in alternativa, il padre convivente; l’unico affidatario di un figlio convivente di età inferiore a 12 anni; il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile. Altri requisiti soggettivi di esclusione dell’obbligo di effettuare lavoro notturno possono essere stabiliti dai contratti collettivi.

È stato escluso che possa essere previsto un generale divieto per le donne. Di conseguenza, il lavoro notturno è vietato alle lavoratrici esclusivamente nel periodo che intercorre “dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino”. Per il lavoratore notturno (ossia colui che per almeno 80 giorni l’anno svolga almeno 3 ore di lavoro nell’orario notturno), è prevista una durata massima di 8 ore di lavoro nelle 24 ore. La contrattazione collettiva può fissare un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media tale limite, salvo che per specifiche lavorazioni “che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali”.

La contrattazione collettiva può, altresì, definire a favore dei lavoratori notturni riduzioni dell’orario di lavoro o trattamenti economici indennitari. Infine, è previsto il controllo sindacale, sia nella fase dell’introduzione del lavoro notturno, sia per quanto riguarda l’obbligo del datore di lavoro di garantire durante il lavoro notturno un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il lavoro diurno, nonché di predisporre specifiche misure di protezione personale e collettiva per i lavoratori notturni addetti a lavorazioni che comportano rischi particolari.

 

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