L’articolo 2105 del Codice Civile, sotto la rubrica “obbligo di fedeltà”, prevede tre specifici divieti per il prestatore di lavoro: egli “non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore”, “non deve divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa”, e non deve “farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. La dottrina è concorde nel ritenere che la fedeltà dovuta dal lavoratore subordinato rientri nella categoria dei cd. obblighi di protezione, che gravano sul debitore della prestazione nei confronti del creditore.
È, altresì, concorde nel ritenere che quello della fedeltà costituisca un obbligo accessorio che deriva dal contratto di lavoro, distinto dall’obbligazione principale, la quale ha ad oggetto la prestazione di lavoro. Vi è, invece, divergenza di opinioni nell’individuare il contenuto e l’estensione della fedeltà dovuta dal lavoratore. Secondo la dottrina maggioritaria, l’obbligo di fedeltà avrebbe esclusivamente un contenuto negativo, che si sostanzierebbe nell’osservanza degli specifici divieti previsti dal testo dell’articolo 2105 del Codice civile.
Tale opinione, però, è disattesa dall’orientamento consolidato della giurisprudenza, perché, anzitutto, non tiene conto del collegamento sistematico con i generali principi di correttezza e buona fede, applicabili ad ogni rapporto contrattuale. Inoltre, bisogna considerare che la fedeltà richiesta al lavoratore subordinato si innesta su un rapporto contrattuale che ha ad oggetto la “collaborazione” con l’imprenditore.
Dunque, allo stesso modo in cui la diligenza richiesta nello svolgimento della prestazione deve tenere conto dell’interesse perseguito dall’imprenditore con la specifica organizzazione da lui predisposta, la fedeltà implica l’obbligo non solo di astenersi da comportamenti che possono pregiudicare l’interesse dell’imprenditore, ma anche di porre in essere quei comportamenti positivi che siano necessari per il perseguimento di tale interesse.
Per quanto riguarda i divieti specifici, va evidenziato che l’obbligo del lavoratore di non prestare concorrenza al datore di lavoro è assoluto, nel senso che esso si riferisce allo svolgimento di qualsiasi attività concorrenziale, qualunque sia la forma e lo strumento adottati (e, quindi, anche ove non siano posti in essere quegli atti di concorrenza “sleale” che sono vietati dall’articolo 2598 del Codice Civile).
Gli altri due divieti, invece, intendono tutelare l’organizzazione e i metodi di produzione dell’impresa, obbligando il lavoratore sia non divulgare le notizie riservate che abbia in qualsiasi modo appreso, sia a non farne personalmente uso in modo pregiudizievole per il datore di lavoro. La cessazione del rapporto di lavoro determina il venir meno dell’obbligo di fedeltà e degli specifici divieti. Di conseguenza, l’oramai ex dipendente è libero sia di prestare concorrenza (salvo i limiti generali previsti dall’articolo 2598 del Codice Civile), sia di divulgare o utilizzare le notizie relative all’organizzazione ed ai metodi di produzione dell’ex datore di lavoro (salve restando le disposizioni che tutelano in materia penale i segreti professionali, scientifici o industriali). A tutela della libertà della persona, la legge pone limiti rigorosi alla stipulazione di patti restrittivi di tale libertà.