Il rapporto di lavoro trova la sua regolamentazione in una pluralità di fonti. Tra queste ci sono le fonti internazionali e comunitarie. Dal 1919 opera l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, a cui appartengono tutti gli stati membri dell’ ONU. Tale Organizzazione svolge un’attività normativa in materia di lavoro, attraverso raccomandazioni e convenzioni. Si tratta comunque di fonti indirette perchè hanno bisogno leggi emanate dai singoli Stati per essere recepite.

Un’influenza maggiore è invece esercitata dagli Atti emanati dall’Unione Europea, sotto forma di regolamenti, direttive, decisioni, che sono infatti vincolanti. In particolare i regolamenti e le decisioni tendono ad uniformare le legislazioni nazionali, sono direttamente applicabili sia nei confronti degli Stati membri che dei singoli individui e prevalgono sulle norme di diritto interno eventualmente contrastanti. Le direttive, invece, impegnano gli Stati membri a realizzare gli obiettivi in esse contenuti, lasciandoli liberi di scegliere i mezzi più idonei alla loro realizzazione. Esse comunque possono avere un’efficacia diretta nei confronti dello Stato e degli enti pubblici quando contengono disposizioni nuove, precise e incondizionate. Inoltre in caso di inadempimento delle direttive da parte dello Stato, il privato ha il diritto al risarcimento del danno.

Altre fonti sono quelle legislative, e quindi tra queste in primis la Costituzione, e la Giurisprudenza Costituzionale. La nostra costituzione attribuisce uno speciale rilievo al lavoro: infatti esso è considerato valore fondativo della Repubblica (art.1); è anche criterio ispiratore del programma di emancipazione sociale che la Repubblica è chiamata a realizzare (art.3). Il lavoro è inoltre dovere, ai sensi dell’art.4: ogni cittadino deve svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso spirituale o materiale della società. Il lavoro è poi anche al centro di quella parte della Costituzione che riguarda i rapporti economici e di alcune discposizioni relative ai rapporti politici: così l’art. 35 stabilisce che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme, l’art.36 detta principi x stabilire l’orario di lavoro e la retribuzione; l’art.37 tutela le donne lavoratrici e i minori; l’art.38 prevede disposizioni in materia di sicurezza sociale; l’art.39 e l’art.40 pongono il principio di libertà sindacale e il diritto di sciopero.

Si tratta di disposizioni molto importanti per tre motivi:

  • fissano criteri direttivi per il legislatore, indicando gli obiettivi che è tenuto a realizzare;
  • dettano precetti direttamente applicabili nei rapporti tra privati;
  • assumono rilievo ai fini di interpretazione delle leggi ordinarie, in base ad un principio affermato dalla giurisprudenza per cui quando alla legge possono essere attribuiti più significati deve essere privilegiato quello più conforme ai principi costituzionali.

Comunque un ruolo fondamentale per garantire il costante adeguamento della legge alle disposizioni dettate dalla Costituzione in materia di lavoro, è svolto dalla Corte Costituzionale. Infatti negli ultimi cinquanta anni essa ha contribuito in larga misura con la sua giurisprudenza alla formazione del diritto di lavoro.

Ovviamente tra le fonti legislative si colloca la legge ordinaria e gli atti ad essa equiparati. Essa costituisce lo strumento fondamentale con il quale lo Stato detta la disciplina dei rapporti di lavoro.

A partire dalla fine del XIX secolo gli interventi legislativi divennero sempre più frequenti e i loro contenuti più ampi e diversificati. Il codice civile del 1942 introduce poi una disciplina organica del rapporto di lavoro e quindi, detta tuttora, la disciplina generale del lavoro subordinato.

Per quanto riguarda l’evoluzione successiva della legislazione in materia di lavoro si può articolare in tre periodi:

  1. nel primo periodo il legislatore ha predisposto a favore del lavoratore tutele ulteriori rispetto a quelle previste dal Codice Civile. Significativa in questo periodo è la legge 741/1959, che ha garantito ai lavoratori trattamenti minimi inderogabili economici e normativi;
  2. il secondo periodo è segnato dalla legge n.300/1970 che detta norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori. Denominata Statuto dei Lavoratori. Essa si caratterizza per l’introduzione di misure di sostegno all’azione sindacale nei luoghi di lavoro;
  3. il terzo periodo si caratterizza per una parziale inversione di tendenza, poiché la legge inizia a considerare il lavoro non più come oggetto di tutela per chi lo presta, ma come valore che deve essere contemperato anche con le esigenze di produttività ed efficienza delle imprese.

Tra le fonti che concorrono a determinare la regolamentazione del rapporto di lavoro c’è anche la contrattazione collettiva. La legge stessa rinvia sistematicamente alla contrattazione collettiva, demandando a quest’ultima la specifica disciplina di molteplici aspetti del rapporto di lavoro e gli attribuisce efficacia normativa abilitandola a disciplinare direttamente i rapporti di lavoro individuali.

Un’altra fonte del diritto del lavoro è la consuetudine (uso), cioè la ripetizione costante e uniforme di una condotta accompagnata dalla convinzione di chi la pone in essere della sua giuridica obbligatorietà. Tale consuetudine assume una posizione importante nell’art. 2078 del Codice Civile, il quale infatti dispone:

– che in mancanza di dispositivi di legge o di contratto collettivo si applicano gli usi;

– gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle disposizioni di legge, ma non sui contratti individuali di lavoro.

Dagli usi normativi vanno tenuti distinti gli usi aziendali, cioè quelle prassi adottate nei confronti dei lavoratori nell’ambito di una singola azienda. Tali usi sono rilevanti ai fini dell’integrazione del contratto sulla base della volontà delle parti, ai sensi dell’art. 1340 del Codice Civile. Inoltre possono essere derogati solo con il consenso dei singoli lavoratori che ne sono destinatari.

Costituisce fonte di diritto anche l’equità alla quale il legislatore di lavoro fa riferimento per individuare la disciplina del rapporto in mancanza di altre fonti

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