Particolare rilievo assume la tutela riguardante gli eventi della malattia e dell’infortunio. Tali eventi determinano una situazione di temporanea incapacità di adempiere all’obbligazione di lavoro, che comporterebbe, secondo i principi propri dei contratti a prestazione corrispettive, il venir meno del diritto alla retribuzione relativa alla parte di prestazione non eseguita (ossia ai giorni di assenza dal lavoro) o, addirittura, il recesso. Invece, a tutela della salute del lavoratore, è previsto che, durante la malattia e l’infortunio sino alla guarigione, egli ha diritto alla conservazione del posto di lavoro e alla percezione di un trattamento economico.

Anche a questo proposito, peraltro, opera il necessario contemperamento con le esigenze dell’impresa e della collettività, in quanto la conservazione del posto di lavoro spetta per un periodo predeterminato (chiamato periodo di comporto), superato il quale il datore di lavoro è libero di recedere dal contratto di lavoro. Il periodo di conservazione del posto è determinato dai contratti collettivi, che ne individuano la durata in misura differenziata in relazione ai diversi settori economici, alla anzianità di servizio del lavoratore ed al suo inquadramento professionale.

La maggior parte dei contratti collettivi, inoltre, prevede e regola, distintamente, l’ipotesi in cui il lavoratore sia affetto da una malattia unica ed ininterrotta (cd. comporto secco) e l’ipotesi in cui si tratti di una pluralità di malattie, della stessa o di diversa natura (cd. comporto per sommatoria). Ma, ove manchi una specifica disciplina di una delle due ipotesi, alla determinazione del periodo di comporto provvede il giudice facendo ricorso all’equità. Per quanto riguarda il profilo economico, vi è tuttora un trattamento differenziato tra operai ed impiegati.

Per gli impiegati, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere la retribuzione contrattualmente prevista; per gli operai, invece, è prevista a carico degli enti previdenziali pubblici (INPS o INAIL) l’erogazione di una indennità di natura assistenziale, che è determinata in misura inferiore alla normale retribuzione e che non spetta nei primi giorni della malattia (cd. periodo di carenza assicurativa). Tuttavia, i contratti collettivi hanno provveduto ad un graduale avvicinamento dei due diversi regimi, prevedendo l’obbligo del datore di lavoro di anticipare l’indennità di malattia agli operai e di integrarne gli importi in base alla misura e alla durata spettanti agli impiegati.

Purtroppo, la tutela apprestata dal legislatore e dalla contrattazione collettiva ha dato luogo anche ad usi distorti, come quello dell’assenteismo da parte di soggetti “furbi” e “finti malati”, nei confronti dei quali, in passato, non sempre vi è stata una adeguata reazione da parte della società e della giurisprudenza che sarebbe dovuta nell’interesse della collettività. Per agevolare i controlli necessari ad impedire o, almeno, contenere usi distorti, il legislatore ha previsto l’obbligo di trasmissione telematica dei certificati medici direttamente all’INPS, e dall’INPS al datore di lavoro, ove questi ne faccia richiesta.

Inoltre, nell’ipotesi di malattia protratta per più di 10 giorni e, in ogni caso, al terzo evento di malattia nell’anno solare, la giustificazione dell’assenza richiede che la certificazione medica sia rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale. Infine, il legislatore ha individuato delle fasce orarie di reperibilità, durante le quali il lavoratore malato è tenuto a rimanere nel proprio domicilio per l’effettuazione della visita di controllo da parte delle istituzioni preposte.

La violazione di tale obbligo, ove non ricorra un giustificato motivo, comporta la decadenza del diritto al trattamento economico relativo ai primi 10 giorni di malattia, nonché, nel caso si verifichi una seconda assenza ingiustificata, la perdita della metà del trattamento retributivo relativo all’ulteriore periodo di prosecuzione della malattia, qualunque ne sia la durata. Dal canto sua, la giurisprudenza afferma che gli abusi della tutela della malattia configurano illeciti anche sul piano disciplinare.

In particolare, configura giusta causa di licenziamento l’ipotesi in cui risulti che la malattia denunziata è insussistente, ovvero risulti che durante la malattia il lavoratore si dedica allo svolgimento di attività tali da aggravare la malattia stessa, o comunque, incompatibili con le esigenze di cura o di riposo richiesti per una pronta guarigione e la regolare ripresa dell’attività lavorativa. Senonché, è spesso difficile, se non impossibile, fornire la prova dell’insussistenza della malattia o dello svolgimento di attività incompatibili, soprattutto quando si tratti di malattie di breve durata.

Forse anche inconsapevolmente in considerazione di ciò, una recente sentenza della Corte di Cassazione, ha ritenuto che, a prescindere dalla veridicità o no delle singole malattie, il ripetersi di assenze per malattia di breve durata, collocate sistematicamente in determinati giorni (come quelli a ridosso delle festività o durante le ferie, così da determinare il prolungamento dei giorni di riposo), possa configurare giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ove determini rilevanti disfunzioni all’organizzazione del lavoro.

Si tratta, però, di una pronunzia che è disattesa dall’orientamento tuttora prevalente della stessa giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la malattia del lavoratore, anche ove si manifesti attraverso episodi morbosi di breve durata (cd. eccessiva morbilità), comporta l’obbligo del datore di lavoro di tollerare le assenze che ne derivano sino al momento in cui venga superato il periodo di comporto.

È, infine, opinione unanime che il datore di lavoro possa intimare il licenziamento durante il periodo di comporto, ove ricorrano ragioni diverse dalla malattia idonee a configurare giustificato motivo o giusta causa. Nel caso di giustificato motivo, che comporta l’obbligo di preavviso, il licenziamento produce i suoi effetti al termine della malattia; il licenziamento per giusta causa, invece, non essendo sottoposto ad obbligo di preavviso e presupponendo, anzi, l’impossibilità della prosecuzione del rapporto di lavoro anche in via provvisoria, è immediatamente efficace anche in costanza di malattia.

 

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