Il D. Lgs. 276 ha modificato alcune parti della disciplina dettata in materia di trasferimento d’azienda, al fine di agevolare i processi di esternalizzazione intrapresi in modo massiccio dalle imprese italiane nella fase più recente, favorendo la cessione di parti dell’azienda prive, fino al momento del trasferimento, di una loro autonomia funzionale.

Al riguardo, l’art. 32, co. 1°, del decreto ha anzitutto disposto la sostituzione del co. 5° dell’art. 2112 c.c.44, con una nuova disposizione, secondo la quale si intende «per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compresi l’usufrutto o l’affitto ». Si tratta di una formulazione che presenta qualche variante in rispetto alla passata disciplina, e precisamente da un lato l’introduzione, dopo l’espressione «qualsiasi operazione», di quella «in seguito a cessione contrattuale o fusione» (una specificazione che parrebbe in verità ridurre il precedente campo di applicazione della disciplina); e dall’altro la soppressione del riferimento «al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi» (che sembrerebbe, invece, estendere la disciplina stessa alla circolazione di attività e beni non legati all’esercizio di impresa).

Ciò posto, la novità di maggior rilievo è costituita dall’aggiunta secondo la quale «le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata,

identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento».

Già la precedente disciplina consentiva un meccanismo analogo; solo che, in passato, l’articolazione funzionalmente autonoma da trasferire doveva essere «preesistente come tale e [conservare] nel trasferimento la propria identità», laddove la nuova disciplina prescinde da questi requisiti.

Per via dell’applicazione della disciplina sul trasferimento d’azienda i lavoratori addetti all’articolazione trasferita vedono automaticamente trasferiti i loro contratti di lavoro al cessionario, senza che risulti necessario il loro consenso; laddove, qualora al trasferimento parziale in questione non si applicasse la predetta disciplina speciale, potrebbe invocarsi (non risultando applicabile, com’è evidente, neppure l’art. 2558 c.c.) il principio generale secondo cui la cessione del contratto a terzi richiede il consenso del contraente ceduto. Una questione, questa, di particolare rilievo, posto che la cessione potrebbe esporre i lavoratori ceduti ad un peggioramento delle loro condizioni di lavoro.

A fronte di questa estensione della disciplina sui trasferimenti, l’art. 29 dispone esplicitamente la sottrazione alla disciplina di una ulteriore vicenda, anch’essa ugualmente controversa. È infatti previsto che «l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore…non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda».

Infine, l’art. 32, co. 2°, del decreto introduce un ulteriore comma in coda all’art. 2112 c.c., in base al quale, nel caso di trasferimento d’azienda o di parte di essa, qualora «l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo di azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’art. 1676». La previsione pare in verità sovrabbondante, dato che l’art. 1676 c.c. è norma generale, in quanto tale applicabile anche al caso di specie.

 

Il principio della continuità del rapporto di lavoro e la cessione di parti o fasi dell’attività produttiva

Il trasferimento non costituisce valido motivo di licenziamento. La successione nel contratto di lavoro è un fatto necessario, automatico. Il lavoratore non ha la facoltà di opporsi, mentre può solo decidere di dimettersi con preavviso. Diverso è il caso in cui nei primi tre mesi il lavoratore ceduto subisca una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro. In questo caso può recedere per giusta causa e con diritto all’indennità di preavviso, senza responsabilità dell’alienante.

 

La tutela individuale e collettiva del lavoratore nel trasferimento. Il trasferimento d’azienda nei casi di procedure concorsuali e di crisi dell’azienda

Altro importante punto è la solidarietà tra cedente e cessionario, per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento (anche solo di un ramo di azienda, concluso con un contratto di appalto – D. Leg. 276 del 2003). Nasce, invece, da una Direttiva comunitaria la conservazione dei trattamenti economici e normativi previsti da contratti collettivi nazionali, aziendali e territoriali goduti al momento del trasferimento.

 

Il fallimento del datore di lavoro

Il forza dell’art. 2119 ultimo comma, il fallimento dell’imprenditore e la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda in crisi non costituiscono giusta causa di licenziamento. I rapporti di lavoro continuano con il curatore del fallimento il quale può effettuare licenziamenti solo qualora ricorrano giustificati motivi oggettivi.

Morte o estinzione del datore di lavoro

Nel caso in cui il datore di lavoro sia una persona fisica, il rapporto di lavoro continua con i suoi eredi o legatari. Nel caso di estinzione della persona giuridica, il rapporto di lavoro continua con i liquidatori ma in determinati casi (es. società costretta a chiudere per un consistente calo nelle vendite) la messa in liquidazione della società potrà accompagnarsi al licenziamento collettivo dei lavoratori.

 

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