In generale, l’art. 2112 regola il mantenimento dei diritti dei lavoratori nel caso di trasferimenti d’azienda. Si è poi evoluta la disciplina comunitaria in materia:
Direttiva n° 187 del 1977
Direttiva n° 50 del 1998: ha modificato molto la 187 adeguandosi alle sentenze della Corte di Giustizia
Direttiva n° 23 del 2001: modifica le precedenti e codifica la disciplina.
L’art. 2112 originariamente trascurava la conservazione dell’occupazione e la consultazione sindacale. Si è, quindi, proceduto all’adeguamento mediante l’art. 47 della legge del ’90 n° 428, riscrivendo i primi tre commi del 2112.
Per eliminare gli ultimi contrasti con la direttiva il Governo ha emanato il D.Lgs. n° 18 del 2001, che ha modificato l’intero art. 2112 cc. ed i primi 4 commi del 47.
Il D. Lgs. 276 ha modificato alcune parti della disciplina dettata in materia di trasferimento d’azienda dal D. Lgs. n. 18 del 2001, con ritocchi solo apparentemente marginali. La logica sottostante all’intervento è quella di agevolare i processi di esternalizzazione intrapresi in modo massiccio dalle imprese italiane nella fase più recente, favorendo la cessione di parti dell’azienda prive, fino al momento del trasferimento, di una loro autonomia funzionale, e come tali fino ad oggi escluse – per quanto si è detto in testo – dall’applicazione della disciplina sui trasferimenti d’azienda.
Al riguardo, l’art. 32, co. 1°, del decreto ha anzitutto disposto la sostituzione del co. 5° dell’art. 2112 c.c., con una nuova disposizione, secondo la quale si intende «per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compresi l’usufrutto o l’affitto ».
Si tratta di una formulazione che presenta qualche variante in rispetto alla passata disciplina, e precisamente da un lato l’introduzione, dopo l’espressione «qualsiasi operazione», di quella «in seguito a cessione contrattuale o fusione» (una specificazione che parrebbe in verità ridurre il precedente campo di applicazione della disciplina); e dall’altro la soppressione del riferimento «al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi» (che sembrerebbe, invece, estendere la disciplina stessa alla circolazione di attività e beni non legati all’esercizio di impresa).
Ciò posto, la novità di maggior rilievo è costituita dall’aggiunta, in coda alla precedente, di una previsione secondo la quale «le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento ». Il problema non è nuovo, in quanto già la precedente disciplina consentiva un meccanismo analogo; solo che, in passato, l’articolazione funzionalmente autonoma da trasferire doveva essere «preesistente come tale e [conservare] nel trasferimento la propria identità», laddove la nuova disciplina prescinde
da questi requisiti (il che parrebbe invero ammesso dalla Direttiva n. 23 del 2001, la quale sembra prescindere dal requisito della preesistenza o meno dell’autonomia funzionale della entità ceduta).