La regolamentazione specifica dei rapporti di lavoro nella costituzio­ne. Il rapporto di lavoro trova nella carta costituzionale una regolamentazione specifica, con la fissazione della retribuzione minima, i riposi, le ferie, la parità tra lavoratori e lavoratrici e tra minori ed adulti, la previsione della determinazione con legge dell’età minima e dell’orario di lavoro (artt. 36 e 37 cost.).

Nella costituzione trovano disciplina anche i rapporti collettivi di la­voro; gli artt. 39, 40 e 46, pure in mancanza delle leggi di attuazione, pre­dispongono i fondamentali principi sull’ organizzazione e l’azione dei sin­dacati, in particolare dei prestatori di lavoro.

Il lavoro nell’art. 1 cost. Il carattere lavorista della nostra costituzione appare già dall’art. 1 in base al quale l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. .

Nell’interpretazione del termine lavoro vi è ampia intesa di comprendere ogni attività diretta al progresso materiale e spirituale della società, come dispone l’art. 4 co. 2 cost.; vi rientrano non soltanto il lavo­ro economicamente dipendente ed ogni altra attività personale, compresi il volonta­riato e le attività religiose, ma anche l’attività imprenditoriale.

Il significato più ristretto di lavoro nell’art. 35 cost. Viceversa un si­gnificato più ristretto viene riferito al termine lavoro nell’art. 35 co. 1 cost., secondo il quale la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Poiché la tutela del lavoro assume rilevanza soprattutto nei confronti delle imprese datrici di lavoro, dovrebbe escludersi che nel termine lavoro, ai sensi dell’art. 35, rientri anche l’attività imprenditoriale, la quale, per altro verso, trova il suo espresso punto di riferimento nell’ art. 41 cost.

L’espressione “lavoro in tutte le sue forme ed applicazione” compren­de qualsiasi attività che venga svolta con lavoro in condizione di dipendenza economica. Si fa, quindi, riferimento non soltanto al lavoro subordinato ma anche al lavoro autonomo, compreso quello del pic­colo imprenditore, svolto senza prevalente ausilio di un’organizzazione imprenditoriale, soprattutto nella forma del lavoro coordinato e continua­tivo o parasubordinato, e ogni altra forma di lavoro, come il lavoro associato, il volontariato, ecc.

Il lavoro italiano all’estero, degli stranieri e nell’Unione europea. La tutela si estende inoltre al lavoro all’e­stero, per il quale esistono norme specifiche, come il comma quarto del­l’art. 35 cost., in base al quale la repubblica riconosce la libertà di emigra­zione e tutela il lavoro italiano all’estero, anche mediante trattati interna­zionali; il comma terzo dello stesso articolo pone, sempre a carico della repubblica ma in tal caso soprattutto del governo, i1 compito di promuo­vere e di favorire gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad af­fermare e regolare i diritti del lavoro.

Non è espressamente prevista la tutela del la­voro degli stranieri, in considerazione del fatto che nel passato l’Italia era esclusivamente un paese di emigrazione e non anche d’immigrazione.

Il lavoro in Italia dei lavoratori appar­tenenti agli stati facenti parte dell’Unione Europea è regolamentato dalle apposite norme, che riconoscono la libertà di circolazione, con una so­stanziale equiparazione tra i cittadini degli Stati membri, tanto che non è configurabile un fenomeno in termini stretti emigratorio.

Immigrazione. Per quanto riguarda il lavoro degli extracomunitari, es­so è regolato, con riferimento all’ingresso in Italia ed al reclutamento, da apposite norme di legge, le quali devono comunque rispondere al princi­pio della tutela del lavoro affermata dall’art. 35 co. 1 cost..

La tutela rimessa alla “repubblica”. Il compito della tutela del lavoro è rimesso alla repubblica. Per essa deve intendersi non soltanto lo stato ap­parato (le istituzioni pubbliche, soprattutto le regioni e gli enti locali), ma anche lo stato comunità (comprese le or­ganizzazioni sociali, specie il sindacato).

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