Se la partecipa­zione del lavoratore all’interesse per il quale viene svolta la prestazione di lavoro comporta l’esclusione dell’elemento della dipendenza, che assume rilevanza ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro associato o partecipativo. Nel lavoro partecipativo, in senso lato, rientra il la­voro a titolo gratuito, in quanto l’irrilevanza dell’onerosità comporta una partecipazione del lavoratore all’interesse per il quale svolge la prestazio­ne di lavoro. Si pone preliminarmente il problema dell’ammissibilità del lavoro a ti­tolo gratuito perché si desume che il contratto ti­pico di lavoro subordinato è a titolo oneroso, ma è altrettanto vero che l’art. 1322 co. 2 cc. consente alle parti di stipulare contratti diversi da quello ti­pico o nominato, purché miri alla realizzazione d’interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Conformità con l’art. 36 co. 1 cost.. I dubbi circa l’ammissibilità del lavoro a titolo gratuito derivano dal atto che l’art. 36 co. 1 cost. riconosce al lavoratore subordinato il diritto alla retribuzione proporzionata e suffi­ciente, con la sostituzione automatica di ogni clausola del contratto indi­viduale che stabilisca una retribuzione inferiore. Tale sostituzione automatica dovrebbe quindi operare anche nell’ipotesi di una clausola, quella della gratuità, che escluda del tutto il diritto alla retri­buzione, ma a questa obiezione si replica, giustamente, osservando che l’art. 36 fa riferimento al diritto del lavoratore subordinato, mentre non è tale chi svolge, anche sotto la direzione di altri, una presta­zione a titolo gratuito.

Lavoro nell’interesse del prestatore: il praticantato. Anzitutto convie­ne precisare che in alcuni casi la prestazione di lavoro viene svolta nell’in­teresse dello stesso lavoratore, con esclusione; quindi, di alcun corrispetti­vo, come nel caso del praticantato che dovrebbe consentire l’apprendi­mento della professione.

Presunzione di gratuità del lavoro nella famiglia di fatto e nel lavoro dei religiosi. Una presun­zione di gratuità esiste per il lavoro tra conviventi more uxorio, cui non si applica l’art. 230 bis cc. relativo soltanto al la­voro familiare basato sul matrimonio. Si presume che la prestazione sia svolta per l’affectio che esiste anche nella famiglia di fatto, presunzione che può essere difficilmente vinta da una prova contraria.

Altra ipotesi è quel­la del lavoro dei religiosi da non confondersi con i sacerdoti che dipen­dono dalla diocesi, per i quali è previsto dalle norme ecclesiastiche un ap­posito compenso; s’intendono gli appartenenti ad ordini religiosi per i quali la prestazione, anche professionale, svolta a favore di un’ attività esercitata dall’ ordine religioso, rilevante per lo Stato, come quella scolastica, deve intendersi svolta religionis causa con preclusione per il religioso di chiedere la retribuzione e con essa la tutela previdenziale.

La questione è di difficile solu­zione secondo le norme vigenti e richiederebbe uno specifico intervento del legislatore, eventualmente a seguito di intese con lo Stato.

Il lavoro religioso a favore di terzi, con intermediazione. Nel caso in cui il religioso svolga la sua attività a favore di altro soggetto con il quale l’ordine cui appartiene abbia stipulato apposita convenzione (come quel­la con una clinica per il servizio infermieristico da parte delle suore) si ri­tiene che sia direttamente rilevante il rapporto tra il religioso ed il sogget­to terzo.

Il lavoro ideologico normalmente oneroso. Potrebbe configurarsi co­me gratuito, se volontario e saltuario, il lavoro ideologico a favore dell’or­ganizzazione partitica o sindacale cui il lavoratore appartiene; ma quando la prestazione sia continuativa, anche se a tempo parziale, normalmente il rapporto è a titolo oneroso.

Deve ritenersi a titolo oneroso anche il rapporto di lavoro con un in­segnante interessato soprattutto ad ottenere punteggio ai fini delle gra­duatorie pubbliche, in quanto la stessa rilevanza a tale fine presuppone l’onerosità della prestazione lavorativa.

Il volontariato. Un riferimento specifico merita il volon­tariato, per il quale sussiste un’apposita legge (d.lgs. 460/1997, art. 10) che qualifica come gratuito il rapporto, anche se nella realtà spesso dietro il volontariato si nascondono forme incerte di lavoro e per questo occorrerebbe una leg­ge che definisse meglio la natura di tali rapporti.

 

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