Con l’avvento del Fascismo, tutte le libertà e perciò anche quella sindacale, vennero progressivamente limitate. Per esempio, con il patto di Palazzo Vidoni del 1925, la Confindustria riconosce il monopolio della rappresentanza sindacale alle organizzazioni sindacali fasciste e in cambio otteneva l’eliminazione della Commissione interna.
Nel 1926 viene istituito l’ordinamento corporativo. Pur riconoscendo la libertà sindacale, si legittimava il governo ad attribuire personalità giuridica di diritto pubblico ad un solo sindacato, a condizione che raggruppasse il 10 % della categoria di riferimento, categoria determinata autoritativamente dallo stesso governo. Così, il sindacato era sottoposto a penetranti controlli pubblici, e doveva essere diretto da persone di “sicura fede nazionale”.
Nel 1934 vengono create le corporazioni, enti di diritto pubblico che riunivano al proprio interno le associazioni sindacali contrapposte e provvedevano, sotto la guida ed il controllo del governo, ad una regolamentazione dell’attività economica. Da ricordare, in particolare, è che le corporazioni emettevano le ordinanze corporative.
Il contratto collettivo corporativo, stipulato dalle contrapposte associazioni sindacali di categoria riconosciute, aveva efficacia erga omnes. Le clausole del contratto corporativo potevano essere modificate in melius da clausole del contratto individuale a condizione che contenessero speciali condizioni più favorevoli.
In sostanza, il contratto corporativo non si limitava a stabile il minimo trattamento economico (come invece faceva il contratto collettivo di diritto comune) ma determinava un trattamento uniforme, che poteva poi eventualmente essere migliorato solo in presenza di determinate qualità e caratteristiche.
I conflitti non potevano essere risolti attraverso forme di autotutela: lo sciopero e la serrata erano considerati delitti contro l’economia pubblica. Essi venivano composti direttamente dal Ministero delle Corporazioni e, successivamente, dalla Magistratura del lavoro, organo composto da magistrati ed esperti che giudicava secondo equità.