Il principio giuridico fondamentale sul quale poggia il nostro sistema di diritto sindacale è quello contenuto nel primo comma dell’articolo 39 della costituzione, ove si stabilisce che “l’organizzazione sindacale è libera”.

Tale principio si contrappone a quello che fu proprio del sistema corporativo fascista il quale, inquadrando le organizzazioni sindacali dello Stato e sottoponendole ad un penetrante controllo, prevedeva un sistema di composizione degli interessi collettivi estraneo ad una libera, diretta e attiva partecipazione dei soggetti interessati.

 L’ordinamento corporativo fu istituito nel 1926 e prevedeva sindacato unico.  Il sindacato con il riconoscimento diveniva persona giuridica di diritto pubblico e ciò consentiva un penetrante controllo dello Stato; ad esso erano riconosciuti poteri nei confronti non solo degli iscritti, ma anche dei non iscritti.  Il sindacato riconosciuto aveva la rappresentanza legale di tutti i componenti della categoria e da ciò discendeva l’efficacia erga omnes del contratto collettivo.

Se il contratto collettivo non veniva concluso tra le parti, la legge attribuiva alla corte d’appello nella funzione di magistratura del lavoro il potere di definire con sentenza le nuove condizioni di lavoro secondo equità, contemperando gli interessi dei datori di lavoro con quelli dei lavoratori; e tutelando, in ogni caso, gli interessi superiori della produzione.  Per garantire l’affettività di questo strumento di definizione delle controversie collettive, il legislatore fascista configurò come reato lo sciopero e la serrata.

Coronamento del sistema fu l’istituzione nel 1934 delle corporazioni, enti di diritto pubblico di rango superiore, che, riunendo al proprio interno le associazioni sindacali contrapposte, avrebbero dovuto realizzare l’armonica composizione dei conflitti tra i fattori della produzione; a tal fine erano investite di poteri di regolamentazione in materia economica e di rapporti di lavoro (ordinanze corporative).  L’ordinamento corporativo su fu soppresso con il regio decreto n. 72 del 1943.

Nel nostro ordinamento democratico, invece, la facoltà di agire a tutela e promozione degli interessi che nascono dal lavoratore in favore di un’organizzazione altrui viene attribuita agli stessi soggetti che ne sono portatori, come esplicazione della loro posizione di libertà.

  1. Il diritto di organizzarsi liberamente, sancito dall’articolo 39 cost., si esplica in primo luogo come diritto soggettivo pubblico di libertà.  Il più evidente effetto è cioè quello di inibire allo stato di compiere atti che risultino lesivi di tale libertà.
  2. Ma la norma in esame opera in secondo luogo nei rapporti intersoggettivi privati.  Proprio al fine di garantire l’effettività della norma costituzionale sotto questo profilo, il legislatore ordinario avvertì la necessità, nel 1970 di consolidare il principio di libertà sindacale con riferimento specifico ai rapporti interprivati.

 Art. 39 cost.: “l’organizzazione sindacale è libera.

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali secondo le norme di legge.

È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.

I sindacati registrati hanno personalità giuridica.  Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

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