Con la costituzione repubblicana nasce lo Stato sociale che riconosce spazio alle società intermedie, come i partiti ed i sindacati. L’art.39 stabilisce il principio della libertà sindacale come libertà tipica rispetto a quella associativa prevista dall’art.18.

L’art.40 ha poi elevato lo sciopero a diritto di rango costituzionale. Esso non è più considerato un inadempimento, ma una legittima sospensione di entrambe le obbligazioni principali dedotte nel contratto di lavoro: lo svolgimento della prestazione lavorativa da parte del lavoratore e la corresponsione della retribuzione da parte del datore di lavoro.

Dopo la caduta dell’ordinamento corporativo, il diritto sindacale italiano perse le connotazioni pubblicistiche del diritto corporativo, e la dottrina ebbe un ruolo importantissimo nella ricostruzione del diritto sindacale repubblicano. Nei primi anni 50 si svolse un dibattito serrato in dottrina sull’opportunità o meno di continuare ad utilizzare le categorie pubblicistiche o quelle privatistiche per interpretare il nuovo diritto sindacale.

Prevalse la ricostruzione privatistica di Francesco Santoro-Passarelli, perché in quel momento storico costituì un’efficace barriera contro le tendenze neocorporative, ma soprattutto perché rispose alle aspettative di autoregolazione dei sindacati, preoccupati di difendere la loro autonomia.

Dall’art.39 della Costituzione si desume che i gruppi sono legittimati a regolare e soddisfare i loro interessi alla stregua dei singoli. Pertanto, accanto all’autonomia privata individuale, il nostro ordinamento riconosce spazio all’autonomia privata collettiva. In sostanza l’autonomia collettiva è una species del genus autonomia privata.

L’autonomia collettiva ricava la sua legittimazione direttamente dall’art.39 comma 1 Cost, che sancisce la libertà dell’organizzazione sindacale. La norma costituzionale può considerarsi la fonte normativa dell’autonomia privata collettiva.

Negli anni 60 un ruolo importantissimo ebbe la “teoria dell’ordinamento intersindacale” proposta da Gino Giugni. Ad essa si deve la valorizzazione del principio dell’effettività dell’attività sindacale, e della bivalenza normativa del contratto collettivo, che si pone come fonte all’interno dell’ordinamento intersindacale e come contratto all’interno dell’ordinamento statale. Tale teoria può considerarsi la base storica del sistema sindacale di fatto fondato sul riconoscimento reciproco delle contrapposte organizzazioni sindacali.

Nel 1970 fu emanato lo Statuto dei lavoratori, che rafforzò in modo rilevante la posizione dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro, perché introdusse il sindacato in azienda, riconoscendo al medesimo una serie di diritti che rendevano effettivo l’esercizio dell’attività sindacale, ed al singolo lavoratore una serie di diritti nel rapporto di lavoro come il diritto alla tutela della professionalità, il divieto di controllo a distanza, il divieto di indagine sulle opinioni politiche del lavoratore, ed infine il diritto alla stabilità del posto di lavoro, prevedendo come sanzione la reintegrazione rispetto al licenziamento illegittimo.

Con l’art.18 dello Statuto, prima della riforma del 2015 (Jobs Act), si stabiliva che tra il diritto del datore di lavoro alla temporaneità del vincolo contrattuale, e quello del lavoratore alla stabilità del posto, si doveva privilegiare nettamente quest’ultimo.

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori