La conclusione del contratto di lavoro a tempo determinato non è più subordinata alla condizione della sussistenza di specifiche ragioni. La legge, però, detta limiti e divieti di altra natura, unitamente a specifiche disposizioni di tutela che tengono conto della particolare posizione del lavoratore a tempo determinato. Anzitutto, tranne che nei rapporti di brevissima durata (sino a 12 giorni), l’apposizione del termine deve risultare, “direttamente o indirettamente”, da atto scritto, a pena di inefficacia.
Copia dell’atto scritto deve essere consegnata al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. Inoltre, la legge prevede una durata massima sia in relazione ad ogni singolo contratto sia in relazione all’ipotesi di una “successione di contratti” che intercorrano “tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore”. In entrambe le ipotesi la durata non può essere superiore a “trentasei mesi” e il superamento di tale limite determina la trasformazione del contratto in un contratto a tempo indeterminato dalla data in cui la durata massima risulti superata. Diverse sono le finalità perseguite dalla legge mediante la previsione di tale durata massima.
Il limite di durata è principalmente giustificato dall’esigenza di tutelare la libertà del lavoratore, poiché il contratto di lavoro a tempo determinato non può essere risolto anticipatamente, se non in presenza di una giusta causa. Nella stessa logica, la legge, pur escludendo dal suo campo di applicazione i contratti di lavoro a tempo determinato con i dirigenti, stabilisce anche per essi una durata massima (pari a 5 anni), facendo salvo, con norma di carattere eccezionale, il diritto del dirigente di recedere liberamente “una volta trascorso un triennio”.
La durata massima complessiva prevista nell’ipotesi di successione di contratti è, invece, giustificata dall’esigenza di attuare la direttiva comunitaria 1999/70, nella parte in cui questa intende prevenire i rischi di “precarizzazione” del lavoratore derivanti dagli “abusi nell’utilizzo di tale successione di contratti”. Il legislatore italiano ha precisato che, ai fini del computo di tale durata massima, si sommano tra loro non solo tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato “intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore”, ma anche tutti i periodi di missione svolti tra i medesimi soggetti nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato.
Ai fini di tale computo, è irrilevante se tra i singoli rapporti di lavoro o periodi di missione vi siano stati “periodi di interruzione”, ma è necessario che essi abbiano avuto ad oggetto lo svolgimento di “mansioni di pari livello e categoria legale”. La legge, peraltro, autorizza i contratti collettivi a prevedere disposizioni diverse in materia di durata massima complessiva, ed esclude del tutto dall’applicazione di tale limite le “attività stagionali”. Inoltre, con norma di carattere generale, il legislatore consente che il limite dei 36 mesi possa essere superato con un unico ulteriore contratto a termine, il quale, però, a pena di trasformazione in contratto a tempo indeterminato, non può superare la durata di 12 mesi e deve essere stipulato presso la direzione territoriale del lavoro.
L’apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro è vietata: per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso le unità produttive ove si sia proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavorati adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato (salvo il caso in cui tale contratto sia conclusi per sostituire lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi); presso le unità produttive ove si sia proceduto a sospensioni del rapporto o a riduzioni dell’orario di lavoro con diritto al trattamento di integrazione salariale riguardanti lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato; per i datori di lavoro che non effettuano la valutazione dei rischi in materia di sicurezza del lavoro.
La violazione di tale divieto è sanzionata con la trasformazione del contratto a termine illegittimamente stipulato in contratto a tempo indeterminato. La proroga del termine richiede il consenso del lavoratore, ed è consentita soltanto in relazione ai contratti la cui durata originaria sia inferiore a 36 mesi. In ogni caso, non sono consentite più di 5 proroghe nell’arco di 36 mesi, anche ove in tale arco di tempo sia stato stipulato più di un contratto a tempo determinato.
Il verificarsi di una sesta proroga determina la trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato. Diversa dall’ipotesi della proroga del termine, è quella della “riassunzione”, ossia di una nuova assunzione, a tempo determinato, che non può avvenire prima che siano decorsi 10 giorni dalla scadenza del precedente contratto a termine (ove questo abbia durata pari o inferiore a 6 mesi) o prima che ne siano decorsi 20 (ove il precedente contratto abbia durata superiore a 6 mesi).
In ogni caso, l’obbligo di “intervallo” tra un contratto e l’altro non si applica ai lavoratori impiegati nelle “attività stagionali”, nonché in altre “ipotesi” che possono essere individuate da contratti collettivi. La continuazione di fatto del rapporto di lavoro dopo la scadenza del termine determina l’applicazione di una maggiorazione retributiva pari al 20 per cento per i primi 10 giorni e al 40 per cento per i giorni successivi.
Ma la sanzione diviene quella della trasformazione in contratto a tempo indeterminato nell’ipotesi in cui il rapporto prosegua per più di 30 giorni oltre la scadenza, in caso di durata del contratto inferiore a 6 mesi, e per più di 50 giorni, in caso di contratto di durata pari o superiore a 6 mesi. La legge fissa anche un “limite massimo al numero complessivo di contratti a tempo determinato che ciascun datore di lavoro può stipulare”.
Questo limite è pari al 20 per cento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato presso lo stesso datore di lavoro. Sono esclusi dal limite suddetto alcune specifiche ipotesi di assunzioni a termine che il legislatore ritiene di dover favorire, quali quelle che riguardano la “fase di avvio di nuove attività”, le “imprese start up innovative” (che godono di un trattamento di favore anche per quanto riguarda la disciplina della proroga e delle riassunzioni), le “attività stagionali”, “specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi”, la “sostituzione di lavoratori assenti”, i “lavoratori di età superiore a cinquanta anni”.
Il superamento del limite massimo riguardante il numero complessivo di contratti a termine comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa. Tuttavia, la legge prevede che i contratti dei lavoratori assunti in violazione di tale limite non sono trasformati in contratti a tempo indeterminato. A favore del lavoratore sono previsti diritti di precedenza nel caso di nuove assunzioni da parte dello stesso datore di lavoro entro un anno dalla cessazione del rapporto.
Per favorire la conoscenza e l’esercizio di tali diritti, essi devono essere espressamente richiamati nell’atto scritto dal quale risulta l’apposizione del termine al contratto di lavoro. Il datore di lavoro è tenuto, altresì, ad informare i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali (aziendali o unitarie) dei posti vacanti disponibili. Un primo diritto di precedenza, di portata più generale, è riconosciuto a tutti i lavoratori assunti a tempo determinato che abbiano prestato attività lavorativa presso la stessa azienda per più di 6 mesi.
La precedenza riconosciuta a tali lavoratori ha ad oggetto le assunzioni a tempo indeterminato che siano effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi e che si riferiscano alle stesse mansioni espletate dal lavoratore assunto a termine. Per le lavoratrici, inoltre, è previsto non solo che il congedo di maternità concorra a determinare il periodo minimo di 6 mesi che fa maturare il diritto di precedenza, ma è riconosciuto uno specifico diritto aggiuntivo che ha ad oggetto la precedenza anche nelle assunzioni che il datore di lavoro effettui a tempo determinato (sempre con riferimento ai successivi 12 mesi e alle mansioni già espletate).
Un terzo e distinto diritto di precedenza è, infine, riconosciuto ai lavoratori assunti per lo svolgimento di attività stagionali e riguarda le “nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali”. Condizione per l’esercizio del diritto di precedenza è la comunicazione scritta da parte del lavoratore della volontà di avvalersi di tale diritto. La comunicazione deve essere effettuata entro 3 mesi, per quanto riguarda i lavoratori stagionali, o entro 6 mesi, negli altri casi, dalla data della cessazione del rapporto a tempo determinato.
Infine, la legge sancisce il principio di “non discriminazione”, prevedendo che al lavoratore a tempo determinato spetta il “trattamento economico e normativo in atto nell’impresa” per i lavoratori a tempo indeterminato “comparabili”, ossia per i lavoratori a tempo indeterminato inquadrati nello stesso livello della classificazione prevista dalla contrattazione collettiva.