A causa dell’ inattuazione dell’ art. 39 Cost., i contratti collettivi attualmente stipulati dai sindacati sono contratti collettivi di diritto comune, riferibili alle manifestazioni dell’autonomia privata collettiva, e come tali vincolanti solo per gli appartenenti all’organizzazione sindacale stipulante. Ai contratti collettivi di diritto comune si applica la disciplina codicistica sui contratti, eccetto quella relativa ai contratti corporativi (artt. 2067-2077).

La questione riguardante l’efficacia del contratto collettivo, riguarda in particolare l’applicabilità o meno del contratto ai lavoratori e datori non iscritti ai sindacati stipulanti. Mentre lo schema prospettato dalla norma costituzionale risolveva il problema attribuendo efficacia erga omnes a tale contratti, il contratto collettivo di diritto comune altro non è che un atto negoziale privato, vincolante esclusivamente per le organizzazioni stipulanti e per i loro iscritti (rispetto ai quali l’iscrizione determina, tramite il fenomeno della rappresentanza, l’imputabilità degli effetti della stipulazione). Per questo il contratto collettivo di diritto comune non rientra tra le fonti del diritto, non essendo funzionalizzato al perseguimento di interessi generali (come il contratto corporativo).

Nonostante l’efficacia soggettiva giuridicamente limitata, sono stati elaborati dalla legge e dalla giurisprudenza, svariati criteri volti ad estendere l’applicazione del contratto collettivo di diritto comune. Per quanto riguarda la giurisprudenza, va ricordata l’affermazione del principio in base al quale i datori di lavoro sono obbligati ad applicare le condizioni del contratto collettivo a tutti i lavoratori che ne facciano richiesta, a prescindere dall’iscrizione al sindacato; anche nel caso di adesione parziale alle disposizioni del contratto collettivo, lo stesso viene considerato applicato per intero al rapporto.

Altro intervento giurisprudenziale meritevole di tutela è quello che, facendo riferimento all’art. 36 cost. sulla retribuzione proporzionata e sufficiente, considera il contratto collettivo come parametro per valutare se la retribuzione percepita in concreto da un lavoratore sia congrua.

Anche la legge si è mossa per ampliare l’ambito di applicazione dei contratti collettivi di diritto comune: in particolare, il legislatore ha inteso incentivare l’applicazione del contratto ai datori di lavoro che ottengano la concessione di pubblici servizi o appalti di opere pubbliche, imponendo la necessità di applicare condizioni non inferiori a quelle previste dal contratto collettivo, o attraverso la concessione di sgravi previdenziali (soprattutto nelle ipotesi di datori che abbiano, nelle aree a più elevata disoccupazione, stipulato accordi aziendale conformi ai cd. contratti di riallineamento).

Tutti questi interventi sono solo un incentivo ad un uso più generalizzato del contratto, e non dei veri e propri ampliamenti del loro campo di applicazione, in quanto il datore non è vincolato, ma indotto ad applicare i trattamenti contrattuali per accedere ai benefici previsti dalla legge.

In altre ipotesi la legge ha riconosciuto una particolare efficacia dei contratti collettivi stipulati dei sindacati maggiormente rappresentativi, per regolare alcuni aspetti dell’organizzazione del lavoro ( es. controlli sull’attività lavorativa, lavoro interinale, part-time), delegando alla contrattazione poteri di competenza legislativa, per valorizzare la fonte sindacale.

In tali ipotesi il contratto collettivo non può comunque derogare alla legge.

Un’ altra ipotesi di applicazione del contratto collettivo anche ai lavoratori non iscritti riguarda l’adesione espressa del lavoratore all’atto dell’assunzione. In tal caso il fenomeno giuridico è differente, poiché le disposizioni del contratto collettivo vengono inserite nel contratto individuale solo a causa della volontà dei contraenti di riferirsi ad una fonte esterna per la regolamentazione del rapporto (quindi non, come negli altri casi, per effetto di interventi esterni alla volontà dei contraenti).

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