Gli altri tipi di contratto collettivo. I contratti corporativi rimasti in vigore

Il D. Lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 369, nell’abrogare il sistema corporativo, dispose la permanenza “in vigore, salvo le successive modifiche, delle norme contenute nei contratti collettivi” all’epoca vigenti.

La giurisprudenza ha poi comunemente invocato il principio secondo cui, quando ad una regolamentazione di carattere generale ne segue un’altra di carattere parimenti generale, questa si sostituisce alla precedente, ed ha quindi ritenuto che la disciplina del contratto corporativo deve intendersi completamente sostituita da quella del successivo contratto collettivo di diritto comune, ogni qualvolta esso è applicabile allo specifico rapporto di lavoro.

 I contratti collettivi “recepiti” in decreto

La legge 14 luglio 1959 n. 741 delegò il Governo “ad emanare norme giuridiche, aventi forza di legge, al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria” e stabilì che nella emanazione delle norme il Governo dovrà uniformarsi alle clausole dei singoli accordi economici e contratti collettivi.

La Corte riconobbe che il legislatore con la legge n. 741 aveva conferito efficacia generale ai contratti collettivi con forme e procedimento diverse da quelli previsti dall’art. 39. La Corte ritenne che la legge si sottraesse al contrasto con l’art. 39 in ragione del suo significato e funzione di legge transitoria, provvisoria ed eccezionale, rivolta a regolare una situazione passata e a tutelare l’interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro.

La legge del ’59 e i decreti emanati in sua attuazione hanno sollevato numerose questioni interpretative.

a) La Corte Costituzionale ha chiarito che rientra nei compiti del giudice ordinario individuare i concreti fini della categoria, cui la legge delegata si riferisce, desumendoli dalla contrattazione collettiva e con riferimento alle associazioni stipulanti. Obiettivo della legge delega è quello di rendere applicabili i contratti collettivi al di là della cerchia degli associati, e non quello di allargare l’ambito della categoria di riferimento; e poi perché risulterebbe violata la regola costituzionale che garantisce la libertà di organizzazione sindacale.

b) La giurisprudenza, dando prevalenza al dato “sostanziale” del contenuto (un contratto) rispetto al dato “formale” (un decreto), ha affermato che “l’estensione erga omnes dell’obbligatorietà del contratto collettivo lascia immutata la natura propria dei patti contrattuali estesi e non vale come diretta legiferazione”.

c) In seguito si è andata invece manifestando la tendenza a negare, anche sotto questo profilo, che l’estensione erga omnes abbia mutato la natura precettiva de contratti.

 Contratto collettivo e usi aziendali

Bisogna infine analizzare le correlazioni tra il contratto collettivo e i cosiddetti usi aziendali, cioè i comportamenti tenuti di fatto dal datore di lavoro con apprezzabile continuità o reiterazione nei riguardi dell’intero personale o di settori dello stesso. La giurisprudenza ha dovuto prendere atto che ben difficilmente una prassi aziendale può rispondere ai requisiti, assai rigorosi, dell’uso normativo, per il quale si richiede tradizionalmente una pratica uniforme e costante, tenuta per lungo tempo dalla generalità degli interessati nella convinzione che essa sia obbligatoria in quanto conforme ad una regola giuridica. La giurisprudenza ha così cominciato ad attribuire i comportamenti tenuti dal datore di lavoro nei confronti di tutti i propri dipendenti o d’una cerchia di essi ai cosiddetti “usi contrattuali” ed a spiegare la loro efficacia sui rapporti di lavoro riguardandoli come proposte contrattuali ai singoli lavoratori da questi tacitamente accettate. E’ così divenuta ricorrente la tesi che gli usi si iscrivono nei contratti di lavoro alla stregua dei patti individuali, e quindi per un verso possono derogare solo in melius ai contratti collettivi.

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