Il dirigente resta l’attore principale del processo di privatizzazione, anche se sulla sua figura si concentra un duplice ruolo difficile da far convivere: quello di essere il soggetto al quale sono affidati “la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” (per quanto riguarda la “microorganizzazione” e la gestione dei rapporti di lavoro) e, allo stesso tempo, di essere egli stesso un dipendente pubblico e, come tale, di essere destinatario di garanzie, come quella della stabilità dell’impiego, che lo separano e distinguono dal dirigente privato.

Per la difficile convivenza di questi due ruoli, il legislatore ha da tempo puntato sulla separazione delle funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di Governo dalle funzioni di gestione dell’attività amministrativa spettanti alla dirigente. Separazione mediante la quale, riservando ai primi il compito di impartire gli indirizzi ed individuare gli obiettivi strategici, si vuole garantire l’autonomia della seconda nelle decisioni che le competono e la corrispondente responsabilità per quanto riguarda i risultati raggiunti.

Così, da un lato, le funzioni attribuite dalla legge ai dirigenti possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative. Per le amministrazioni statali è altresì previsto che il Ministro non può revocare, riformare, avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza del dirigente, potendo soltanto fissare un termine perentorio in caso di inerzia o ritardo del dirigente stesso, ovvero, in caso di perdurante inerzia o di grave inosservanza delle direttive generali, nominare un commissario ad acta.

D’altro lato, il dirigente è sottoposto al controllo degli organi di indirizzo politico-amministrativo, mediante la verifica ex post della rispondenza dei risultati agli indirizzi e agli obiettivi assegnati, e ad uno speciale regime di responsabilità. La riforma più recente si è mossa nella direzione del rafforzamento di tale distinzione di funzioni, ma introduce una linea di politica del diritto ulteriore, che è quella di sollecitare il dirigente pubblico ad esercitare effettivamente le funzioni che gli competono evitando alcune degenerazioni che era state registrate.

Il legislatore ha imposto al dirigente di assumere “in via esclusiva”, e cioè senza il consenso ed il condizionamento delle organizzazioni sindacali, le decisioni relative all’organizzazione degli uffici e alla gestione dei rapporti di lavoro0. Allo stesso modo, la nuova regolamentazione delle sanzioni disciplinari prevede che il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare comportano, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l’applicazione di una severa sanzione disciplinare, che è prevista anche nell’ipotesi in cui il dirigente non curi l’osservanza della disciplina dei controlli sulle assenze.

Inoltre, per evitare che il timore del rischio della responsabilità civile derivante da profili di illiceità nello svolgimento del procedimento disciplinare possa far venir meno le determinazioni del dirigente, è precisato che tale responsabilità “è limitata, in conformità ai principi generali, ai casi di dolo o colpa grave”. Inoltre, va evidenziato che il dirigente, oltre ad essere soggetto attivo nel processo di misurazione e valutazione della performance, ne è anche oggetto, nel senso che la sua performance individuale forma anche essa oggetto di misurazione e valutazione, ai fini della distribuzione selettiva della retribuzione di risultato secondo i diversi livelli di performance conseguiti.

Inoltre, i risultati raggiunti assumono rilevanza sia nella procedura che le amministrazioni pubbliche devono attivare ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale, sia ai fini della conferma e della revoca degli incarichi assegnati (cd. responsabilità dirigenziale). Nei casi di mancato raggiungimento degli obiettivi ovvero di inosservanza delle direttive, che siano imputabili al dirigente, è prevista l’impossibilità di rinnovare lo stesso incarico alla scadenza (ferma restando l’eventuale responsabilità disciplinare del dirigente per gli stessi fatti).

Nei medesimi casi, laddove la condotta sia di particolare gravità, l’amministrazione può revocare l’incarico prima della naturale scadenza, con collocamento del dirigente a disposizione nel ruolo dell’amministrazione, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo. Soltanto gli incarichi apicali delle amministrazioni statali cessano automaticamente decorsi 90 giorni dal voto di fiducia al Governo, indipendentemente da qualsiasi verifica dei risultati e dalla sussistenza di qualsiasi ipotesi di responsabilità.

Le disposizioni di legge, statali e regionali, che nel tempo avevano esteso tale meccanismo di caducazione automatica dell’incarico (cd. spoil system) a dirigenti non apicali, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime perché contrarie ai principi di buon andamento e imparzialità delle pubbliche amministrazioni, di cui il sistema di conferma e revoca degli incarichi fondato sulla valutazione dei risultati conseguiti dai dirigenti costituisce specifica attuazione. Rispetto al lavoro privato, tuttavia, il regime della responsabilità del dirigente pubblico resta nel suo complesso molto distante.

Anzitutto, sono diversi i presupposti formali (poiché i provvedimenti conseguenti a responsabilità dirigenziale devono essere preceduti non solo da una contestazione, ma anche dall’acquisizione del parere del Comitato dei garanti composto da esperti) e sostanziali (tenuto conto che il dirigente privato può essere licenziato per qualsiasi motivo che non sia puramente arbitrario o pretestuoso). Inoltre, la giurisprudenza ha riconosciuto a favore dei dirigenti pubblici la tutela prevista dall’articolo 18 della legge 300 del 1970, nonostante essa non sia applicabile (salvo il caso del licenziamento nullo o orale) ai dirigenti privati.

La riforma del 2009, peraltro, ha introdotto una ulteriore ipotesi di responsabilità dirigenziale, prevedendo che, in caso di colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall’amministrazione, è prevista una decurtazione della retribuzione di risultato, in relazione alla gravità della violazione, di una quota fino all’ottanta per cento.

Infine, per assicurare l’effettività dei nuovi sistemi di valutazione della performance, è stato disposto il divieto di erogare la retribuzione di risultato ai dirigenti che abbiano concorso alla mancata adozione del “piano della performance” o del “programma triennale per la trasparenza e l’integrità”. Quest’ultimo inadempimento costituisce anche elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, nonché possibile causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione.

 

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