Non esiste una risposta univoca e definitiva circa nozione e disciplina del diritto di sciopero: è una constatazione di fatto, dato che non è esistita ieri e non esiste oggi una dottrina ed una giurisprudenza unanime. Salvo qualche isolato dissenso, l’art. 40 Cost. venne subito considerato immediatamente precettivo: il che volle dire riformulare e scomporre quel testo, come se contenesse un duplice disposto: il diritto di sciopero è riconosciuto; il diritto di sciopero deve essere esercitato nell’ambito delle leggi che lo regolano. Il principale problema interpretativo era rappresentato dal primo disposto, ossia il riconoscimento del diritto di sciopero, e risolverlo avrebbe comportato trovarne il fondamento, ossia la ratio: vale a dire il significato “oggettivo”, storicamente aperto, assunto all’interno del testo costituzionale. Vi sono, a questo proposito, due filoni interpretativi: il primo vede il diritto di sciopero come mero strumento di autotutela contrattuale ed organizzativa; il secondo come canale di partecipazione politica.

In merito alla natura del diritto di sciopero, sono state avanzate varie interpretazioni, da quella che lo vede come un diritto soggettivo in ogni sua sfaccettatura, fino alla tesi della potestà. Si assume, a punto di partenza, il quadro che vede nel diritto di sciopero riconosciuto dall’art. 40 un vero e proprio diritto soggettivo, ossia un potere attribuito ad un soggetto per il soddisfacimento di un interesse, solo suo od anche suo; il diritto di sciopero è anche configurabile come un diritto soggettivo potestativo, nel senso del potere accordato ad un soggetto di modificare il rapporto di cui è parte. Per quanto riguarda invece il diritto di sciopero come diritto della personalità, in questo caso viene messo in risalto il coinvolgimento stesso della persona del lavoratore, e così pure per lo sciopero in quanto libertà fondamentale, e allo stesso sciopero come diritto politico, dove viene sottolineato il ruolo di partecipazione politica.

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