In caso di sciopero il datore ha diritto a sospendere l’obbligazione retributiva e non corrispondere la retribuzione; lo sciopero quindi non deroga al principio di corrispettività delle obbligazioni reciproche del datore e del prestatore, nemmeno come causa di sospensione.

Restano ugualmente in vita però altri aspetti del rapporto di lavoro: scatti di anzianità, automatismi salariali, avanzamento di carriera, ecc.

Vengono ridotte invece le obbligazioni di tipo retributivo, come il T.F.R. e la retribuzione relativa alle ferie (giacché viene meno l’esigenza del riposo da parte del lavoratore che si astenuto).

Un problema particolare è quello della sospensione delle obbligazioni retributive in caso di scioperi dimostrativi o articolati.

In particolare la questione gira intorno al criterio fondamentale da usare per stabilire la retribuzione; si dibatte se si debba rapportare la retribuzione alla durata dello sciopero o all’utilità effettivamente apportata dalle prestazioni offerte dai lavoratori.

La giurisprudenza ha tenuto un atteggiamento oscillante: per alcuni l’eventualità dello sciopero rientra nel rischio d’impresa, e perciò sul datore graverebbe l’obbligo di retribuire comunque i lavoratori, anche a fronte di prestazioni parziali; per altri l’eventualità di una prestazione difforme a quella concordata legittima il rifiuto del datore ed esclude la mora credendi.

Quest’ultima impostazione è quella preferita in dottrina, anche perché più aderente alla necessità di dare comunque una qualche esecuzione al contratto.

Per quanto riguarda invece il pubblico impiego, la Corte dei conti ha stabilito che la retribuzione giornaliera del dipendente pubblico è infrazionabile e quindi in caso di sciopero non gli è dovuta per intero; quest’orientamento non è stato però seguito dal Consiglio di Stato, che al contrario, ha adottato il principio della frazionabilità della retribuzione giornaliera, con la conseguenza di sottrarre alla retribuzione in relazione alla durata effettiva dello sciopero.

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