Il concorso tra le fonti eteronome non comporta necessariamente un conflitto, il quale, invece, viene in essere in due principali circostanze:

  • quando le due fonti si sovrappongono dettando discipline diverse sul medesimo oggetto.
  • quando la previsione del contratto collettivo esce dai binari precostituiti dalla disposizione di legge.

In queste ipotesi, quindi, occorre un criterio che consenta di risolvere tale conflitto e di scegliere, fra quanto disposto dall’una e dall’altra fonte, la norma prevalente, scongiurando così lo stallo che altrimenti si produrrebbe.

 Il criterio classicamente utilizzato dal diritto del lavoro è un corollario del già evocato carattere imperativo e inderogabile in peius, attribuito di massima a tutte le norme lavoristiche prevedenti diritti in favore dei lavoratori subordinati.

Dal momento che anche il contratto collettivo è un contratto, si ritiene che anch’esso non possa derogare in peius alle norme di leggi rilevanti, a pena di nullità parziale della relativa clausola contrattuale. In realtà, ad essere colpita dalla nullità parziale non è tanto la clausola del contratto collettivo, quanto la clausola del contratto individuale che era stata integrata da quella del contratto collettivo in violazione di legge. Il principio dell’inderogabilità unilaterale della legge è considerato la più classica manifestazione dell’essenza protettiva del diritto del lavoro, la quale si realizza attraverso l’assegnazione al lavoratore di una dote minima di diritti.

Di base il contratto collettivo punta a migliorare i trattamenti, e non a peggiorarli, tuttavia possono esservi situazioni particolari, nelle quali potrebbe essere indotto a farlo. La legge proibisce che ciò accada, e lo fa sottraendo allo scambio negoziale i beni protetti da norme imperative o inderogabili, sul presupposto che tali beni debbano essere comunque goduti dal lavoratore

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