Lo sciopero deve necessariamente comportare l’abbandono dei locali in cui si svolge la prestazione?
La domanda è una delle più interessanti, e tocca diversi mezzi di lotta collettiva: il c.d. sciopero bianco, nella cui tipologia rientra certamente lo sciopero dimostrativo.
Quando l’astensione si prolunga molto nel tempo, permanendo i lavoratori, durante la protesta, presso il luogo di lavoro, si ha il caso della occupazione d’azienda.
Emergono , di fronte a questa, tutta una serie di aspetti problematici:
- Fondamento di questo tipo di lotta
- Possibilità per il datore di esperire azioni di reintegrazione (art.1168 c.c.) o manutenzione (art.1170 c.c.)con adozione di provvedimenti volti al ripristino del possesso.
Le azioni suddette possono essere esperite nel caso in cui o vi sia violenza verso persone o beni aziendali, oppure, più in generale, quando l’occupazione tende allo spoglio dell’azienda accompagnato talvolta da forme di autogestione dei lavoratori, forme che sono del tutto arbitrarie sul piano giuridico.
Se invece l’occupazione si può inquadrare come strumento di autotutela si ritiene che non possa farsi ricorso alle suddette azioni; mancando infatti l’elemento della violenza, mancano i requisiti per i quali si abbia spoglio ai sensi dell’art.1168 c.c.; è la finalità dell’autotutela che esclude quindi l’animus spoliandi e quindi ogni possibilità di pregiudizio per il possessore.
La Corte Cost. ha confermato quest’orientamento rilevando che pur essendo legittimo l’art.508 c.p. che punisce l’occupazione d’azienda, questa deve ritenersi lecita laddove non reca danni ai beni aziendali e manchi al contrario il dolo specifico, consistente nella finalità di recare turbativa a persone o cose.
Un altro problema tipico dell’occupazione d’azienda è quello della individuazione degli autori materiali dell’occupazione stessa; talvolta la giurisprudenza emana provvedimenti “in incertam personam” e i soggetti andranno specificati in sede di esecuzione dell’ordine.
La dottrina non consente con quest’orientamento perché violerebbe palesemente i principi fondamentali del processo civile, in particolare il diritto alla difesa.
Esistono affianco all’occupazione d’azienda altre condotte accessorie o strumentali allo sciopero che si pongono ai bordi estremi della tutela di cui all’art.40 Cost.
In particolare possiamo citarne due: il picchettaggio e il boicottaggio.
Il primo indica tutta una serie di comportamenti attivi che determinano l’ostruzione all’ingresso nei luoghi di lavoro.
Qui vanno contemperati da un lato gli interessi degli scioperanti, che vogliono diffondere la conoscenza delle ragioni relative allo sciopero e dall’altro quello dei dissidenti, che allo sciopero stesso sono contrari e decidono quindi di non astenersi.
Si ritiene che il picchettaggio rientri nella categoria protetta dall’art.21 Cost., piuttosto che nel diritto di sciopero, almeno finché si concreti in un atteggiamenti di semplice persuasione; è chiaro che quando da questa si passa alla minaccia vera e propria, si concretano atteggiamenti penalmente perseguibili; lo stesso dicasi nel caso del “blocco delle merci” quando sussista il fatto oggettivo del danno irreparabile per il datore e l’elemento soggettivo doloso di arrecare il danno stesso.
Il boicottaggio si distingue in primario e secondario, a seconda che sussistano attività dirette o indirette ad isolare l’impresa da ogni rapporto economico sociale.
In Italia non è molto praticato; in più è penalmente sanzionato ex art.507 c.p. anche se la Corte Cost. ha dichiarato parzialmente illegittimo questo articolo nella parte in cui punisce il boicottaggio fatto a mezzo di propaganda, fatto che non può essere punito (e spetta poi al giudice di merito valutarlo) quando rientri nella sfera della libertà d’opinione (art.21 Cost.).